Tempi difficili per registi e poliziotti. Una storia ai confini della realtà

Potremo intitolare questo film Omicidio sul lago. Lo ambienteremo tra i laghi del New England, i grattaceli di New York, l’assolata California e il selvaggio Texas. Gli interpreti dovranno essere poliedrici, camaleontici, pronti a tutto. Jack Nicolson potrebbe interpretare il protagonista da vecchio, mentre Elio Germano da giovane. Come protagonista femminile sarebbe perfetta Daisy Ridley.

Adesso provate a immaginare: primi anni ottanta, South Salem, nello stato di New York. La ridente campagna lontana dalla caotica metropoli ospita la seconda casa dei coniugi Kathleen e Bobby: coppia in crisi che cerca la propria strada nel mondo.
Kathleen è più giovane del marito di dieci anni; per cercare la sua strada s’iscrive a medicina, continuando a usare la seconda casa e lasciando l’appartamento newyorkese al marito, ricco rampollo di una delle più influenti famiglie d’immobiliaristi della grande mela.
Il 31 Gennaio del 1982 dopo un violento litigio della coppia, la ragazza scompare. Il marito ne denuncia controvoglia la scomparsa solo quattro giorni dopo, senza far menzione di Seymour, il potente genero della donna, il Capofamiglia che ha rivoluto il figlio perduto in azienda.
Nel frattempo la polizia la cerca in vano, tra ritardi, mancanze e un destino avverso.
Diciotto anni dopo, Galveston, Texas: una donna muta e bruttina vive in un condominio e ha come vicino di casa uno strano personaggio che risponde al nome di Morris. I due diventano amici e così la donna esce allo scoperto; il suo vero nome è Bob ed è un uomo, ha cambiato generalità per problemi personali ma Morris non si scandalizza affermando di averlo fatto anche lui in passato, può star tranquillo, non lo dirà a nessuno.
2000, 23 Dicembre, Benedict Canyon, California: la figlia di un famigerato gangster di Las Vegas, Susan, viene trovata morta nella sua casa; lo stile è quello delle esecuzioni mafiose.
Lei è la figlia di Davie Berman, ed è diventata una nota scrittrice e giornalista grazie alle narrazioni sull’impero criminale del padre. Negli anni sessanta, all’UCLA conosce Bobby e i due diventano amici intimi. Qualche giorno prima di morire la donna chiama il vecchio amico confidandogli di avere dei problemi e chiedendogli aiuto; in primo luogo le servono 50 mila dollari, poi, problema non secondario, la polizia l’ha contattata per discutere in merito a questioni accadute nei primi anni ottanta. Insomma, l’amica di Bobby è davvero nei guai; poco prima di Natale accade l’imprevedibile.
Alla polizia, qualche tempo dopo, viene recapitata una lettera anonima da cui si evince che la donna è morta in casa.
I poliziotti fiutano una pista da un errore ortografico nell’indirizzo: invece che Beverly sulla busta è scritto Beverley Hills. Inoltre la lettera sembra una confessione scritta, un dettaglio degno di nota.
2001, baia di Galveston: un cadavere, o meglio i pezzi di un cadavere, tornano a galla. Puoi crederti furbo, ma la marea lo è molto più di te. Guarda caso si tratta del nostro amico Morris Black, il vicino di casa dell’enigmatico Bob. Quest’ultimo, immediatamente accusato di omicidio con smembramento, non perde tempo e si affida al miglior avvocato che il grande stato del Texas possiede: Dick DeGuerin. Questi riesce a far credere a tutti (soprattutto alla giuria) che la vera cattivona di turno è una spietata e sanguinaria giudice repubblicana, che risponde al rassicurante nome di Jeanine Pirro. Bob, dopo essere stato liberato su cauzione, non si presenta al processo e viene beccato a rubare un panino in un supermarket della Pennsylvania nonostante avesse 500 dollari nel portafoglio; evidentemente i panini da quelle parti sono davvero molto costosi.
2003, Texas: inizia il processo per l’omicidio Black. L’avvocato, sornione e spietato, riesce a far incriminare il suo cliente solo per smembramento di cadavere prodotto da terzi; Bob si prende solo cinque anni, nonostante l’occultamento di prove, ma nel 2005 viola i termini della condanna e si fa beccare nuovamente in un centro commerciale proprio dal giudice che lo aveva condannato.
Nel frattempo il povero Bobby viene messo da parte dalla sua potente famiglia; sin dal 1994 viene estromesso dall’azienda. Viene da sempre considerato quello strano, il più sensibile, o semplicemente il più debole. All’età di sette anni il povero Bobby assiste al suicidio di sua madre, lanciatasi dal tetto da casa. Da allora il padre è sempre più lontano dai figli; questa mancanza di tempo da dedicargli, segna la vita dei ragazzi.
Duglas, il fratello minore, viene nominato erede dal padre Seymour; nel 2015, al culmine della vicenda, Bob proverà a farlo fuori, abbandonando però l’idea all’ultimo momento.
2015, Marzo, finale della storia. O forse no.
Due registi si recano alla polizia. Devono denunciare un presunto pluriomicida che hanno smascherato grazie a un microfono rimasto aperto al temine di un intervista. Nel frattempo quest’ultimo è a New Orleans; i due temono di essere assassinati o che l’indiziato possa darsi alla fuga.
Una selva di microfoni esce dalla nebbia. Dissolvenza. Titoli di coda.
Fantasia:0 – Realtà:1

Il titolo originale del Documentario della HBO (di questo si tratta in realtà) è The Jinx, che in italiano potrebbe essere tradotto come Lo Iettatore, ed è andato in onda in Italia su Sky Tg24 in sei puntate fino al 6 Gennaio 2016, con gran successo di critica. E’ un ottimo prodotto, ben fatto, con una costruzione drammatica ricca di colpi di scena, parti ricostruite e interviste intercalate dal ritmo perfetto, senza intoppi; soprattutto l’ultimo episodio, quello incriminato. Il finale, come in ogni film noir che si rispetta, ci svela il vero colpevole e lo fa mentre nessuno lo può (apparentemente) sentire: dal bagno. Il protagonista ha ancora addosso il microfono dell’intervista appena conclusa.
A voi la trascrizione del finale:

Ecco
sei fregato
hai ragione, certo
ma non puoi immaginare
arrestatelo
non so cosa ci sia nella casa
oh, voglio questo
che disastro
Aveva ragione
Io mi sbagliavo
e i rutti
Ho delle difficoltà con la domanda
Cosa diavolo ho fatto?
li ho uccisi tutti, ovviamente.

Quello di Bob è un vero soliloquio: i pensieri in libertà di chi è in bagno ed ha appena superato una prova stressante. Forse è una confessione, un liberatorio parlare a sé stessi o semplicemente l’ennesimo stratagemma di un intelligente manipolatore. Di certo è una novità narrativa dentro ad un calderone ben collaudato come quello del Crime Drama, non una normale inchiesta giornalistica, ma un nuovo ed inquietante sviluppo della narrativa contemporanea.
The Jinx è la vera storia del multimilionario newyorkese Robert Alan “Bobby/Bob” Durst, figlio di Seymour e nipote di Joseph, stirpe di immobiliaristi ricchi e potenti, accusato di tre omicidi di cui uno presunto.
Quando nasci tanto ricco, dovresti per lo meno essere grato e lasciar perdere coltelli, motoseghe, mazze da baseball e pistole. Giusto? Sbagliato.
Vi ricordate di Rosario Chiarchiaro e la sua patente di iettatore? Parrebbe che questo Bobby sia al suo livello, davvero un grosso menagramo. Nemmeno la Signora Fletcher al massimo dello splendore può vantare una scia di morti violente come la sua.

Sarà la giustizia a dirci se merita la pena di morte o se davvero tutta questa storia è una cospirazione amletica e apocalittica.
Gli ingredienti ci sono tutti: soldi, potere, New York e i suoi grattaceli, complotti di famiglia, estromissioni, (milioni di dollari), morti, pettegolezzi, (tanti soldi), bugie, amici chiacchieroni, figli di gangster.
Peccato che la vicenda sia reale e le persone sono morte davvero; non si rialzeranno spolverandosi gli abiti allo stop del regista, che potrebbe essere l’insondabile Bob come anche la sua famiglia, nel tentativo di metterlo fuori gioco ad ogni costo.
Il caso Black fa scalpore perché sembra un omicidio senza motivo. Forse è morto perché sapeva troppo sul misterioso Bob. Nonostante sia stato accusato “solamente” di smembramento di cadavere, il sospetto su di lui rimane in maniera pesante; l’adagio che i soldi non danno la felicità, ma aiutano molto, calza a pennello. Durst è stato fatto passare come la vittima del procuratore Jeanine Pirro, una spietata e crudele virago cannibale e sociopatica; una pitonessa pronta a condannarlo per la sparizione della moglie in stile inquisitorio e la giuria ci è caduta con scarpe e calzini. Oltre all’accusa per la sparizione della prima moglie, Kathleen McCormack, è accusato anche dell’omicidio dell’amica Susan Berman, che avrebbe dovuto essere ascoltata dalla polizia come persona informata sui fatti della presunta, fino a prova contraria, morte di Katie. Nei primi anni ottanta Susan divenne la portavoce ufficiale di Robert, diventando una testimone utile al caso.
Forse ci troviamo davanti al più elaborato e barocco complotto di famiglia; forse, come nei migliori film hollywoodiani, siamo di fronte a un assassino degno erede di Lecter o alla vendetta dei fratelli Mortimer e Randolph Duke. Di certo la Realtà schiaccia il falso e lo fa attraverso le bugie, gli inganni, le apparenze; quando il fasullo s’intromette nella vita tutto cambia inevitabilmente.
Probabilmente in quel tribunale dove vedranno la luce ipotesi alternative si giocherà la partita più noir del 2016, ma certamente questa storia supera la Fantasia, e di tanto.
Molti giornali in America, soprattutto il New York Times, hanno mosso una critica in linea di principio fondata: è etico il comportamento dei registi nei confronti della giustizia (e del pubblico) per la mancata e tempestiva informazione alle forze dell’ordine che Durst aveva “confessato”?
Il tentativo di Marc Smerling ed Andrew Jarecki odora molto di scoop ed è molto sensazionalistico, ma francamente mi sembra tanto che il bue stia dicendo ai quattro venti che l’asino è un cornutazzo.

Bene. Io invece mi pongo quesiti leggermente diversi: è etico che a distanza di trentatré anni la polizia non si sia accorta che Durst c’entrava qualcosa con gli omicidi/sparizioni?
E’ etico non indagare correttamente sulla scomparsa nel nulla di una giovane donna?
E’ etico che una giuria si faccia gabbare da famosi e potenti avvocati?
E’ etico liquidare in fretta la morte della figlia di un gangster come un’esecuzione mafiosa?

Non discuto sul fatto che il Times abbia ragione, ma troppe persone adorano andare sulle giostre di quel Luna Park festaiolo e rumoroso messo in piedi proprio da chi si pone domande sull’etica. Forse c’è livore nei confronti di “chi ce l’ha fatta prima di tutti gli altri”? Spero davvero di no. Mi auguro che le parole del NYT siano dettate da un genuino stupore, un’indignazione vera e non da vendette e ripicche tipiche del mestiere.
Sono domande che cadranno come sempre nel vuoto pneumatico delle ipotesi; è molto interessante quando i Media si siedono sul “lettino dello psicanalista” e si chiedono se il loro lavoro è corretto, se forse non passano il segno, se non rincorrono “il sensazionale” a ogni costo.

Ricordo il bellissimo film di Billy Wilder del 1951, L’asso nella manica. In questo film un giornalista bisognoso di tornare in pista sfrutta a suo vantaggio un disastro in miniera, provocando alla fine solo ulteriori disastri.
Ora mi chiedo: quanti Chuck Tatum servono ancora per capire che la schizofrenia mediatica è ormai fuori controllo e che tutti quanti dovrebbero fare un passo indietro per farne due avanti?
In fondo The Jinx esaudisce il sogno di tutte le Signore in giallo del mondo: prendere il posto delle forze dell’ordine nella lotta contro il Male.

 

 

Categorie: Cinematografo, Televisione

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