Ai confini della realtà c’è la regione dell’immaginario
C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità; è la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere: è la regione dell’immaginazione, una regione che potrebbe trovarsi “Ai confini della realtà”
Così iniziava ogni episodio della più iconica serie televisiva degli anni cinquanta.
Erano i “Confini della realtà”, che potevi attraversare in un tempo condensato, trenta minuti di puro piacere intellettuale.
Il titolo originale era The Twilight Zone, la zona del crepuscolo, per l’aviazione americana la linea dell’orizzonte che scompare sotto al velivolo e che lascia il pilota senza riferimenti per un breve istante; per chi come noi non staccava nemmeno un secondo gli occhi dallo schermo era quel posto dove tutto poteva succedere.
“I confini della realtà” sono entrati nel lessico comune, ma prima di essere un modo di dire sono stati per quattro decenni un modo di vedere la realtà attraverso i sogni un po’ lisergici degli sceneggiatori; probabilmente più di ogni altra serie ha condizionato tutte le altre espressioni Pop del ‘900: dal cinema al fumetto, dalla musica all’intrattenimento in genere.
Il “Grande Padre” della serie era il prolifico (e magnifico) Rod Serling; dopo aver ricevuto diverse onorificenze per la guerra nel Pacifico, soffrì di incubi per tutta la vita, ed è piacevole pensare che la zona del crepuscolo in cui scriveva la notte lo abbia ispirato così tanto. La fantascienza del suo telefilm non era fatta di mostri enormi e famelici insettoni che distruggevano futuristiche navi spaziali; era riuscito a creare, anzi a plasmare per la televisione, quella zona d’ombra facendola risultare plausibile.
Non è Fantascienza canonica, ma una situazione più che un’azione: una condizione al limite dove scienza, occulto, mistero, paranormale e orrore si fondono assieme.
Sono proprio i Limiti a rappresentare la vera discriminante, il punto di non ritorno dove le cose succedono senza che noi possiamo fermarle; al di sopra e al di sotto ci sono le altre storie, ma su quella linea, a quel livello, tutto accade. Le sceneggiature possono svilupparsi in totale libertà ed ogni cosa è lecita. Se queste trovate fossero state inserite in Perry Mason o in Bonanza i telespettatori sarebbero insorti interrompendone la messa in onda per sempre, ma chi si avventurava in quei trenta minuti lo faceva proprio perché poteva abbandonarsi a momenti di vero telesvago selvaggio e senza freni, permettendo alla fantasia di fare baldoria. Potevi vedere quelle cose che da ragazzino raccontavi intorno al fuoco o al raduno della chiesa quando i grandi già dormivano. Il confine che avevi dentro si spostava e finalmente ti riposavi.
Ti veniva fatta la morale alla fine dell’episodio, il poliziotto buono e quello cattivo si mettevano d’accordo per tentare di salvarti la vita, ma succedeva comunque fuori dalla stazione di polizia, vicino al bosco dove le persone scompaiono dopo il tramonto; te ne accorgevi solo alla fine quando ormai era inevitabile beccarsi la ramanzina.
Accanto a Serling ci furono molti altri scrittori; i nostri prediletti sono Ray Bradbury e Richard Matheson. Il primo è famosissimo in tutto il globo grazie a Farenheit 451, mentre il secondo qui in Italia è meno noto nonostante sia un mastodonte del genere, secondo solo a Don Simak. Per intenderci il signor Matheson ha scritto Io sono leggenda, Tre millimetri al giorno, Io sono Helen Driscoll e così via. Rod Serling rimane comunque lo scrittore più prolifico di tutta la serie, di cui fu anche direttore artistico e narratore, che lo fece diventare molto famoso tra gli anni cinquanta e sessanta. Basti pensare che nel 1968, dopo aver lasciato la CBS, sarà anche l’autore di uno dei film più famosi della storia del cinema: Il pianeta delle scimmie.
I confini della realtà sono quel posto dove la vita normale e ordinaria delle persone incontra l’ignoto, dove tutto succede ed è lecito. Ci sono alieni, persone che non sono ciò che sembrano, luoghi disabitati, situazioni irreali che diventano realtà tangibili e inoppugnabili.
Questo è ciò che accade e che a ogni episodio ci fa chiedere: è tutto vero o è solo un sogno? E’ il parto di una mente burlona? Allo stesso tempo però tutto ci sembra vero e credibile, perché in fondo a chiunque potrebbe succedere.
Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo sognato o sperato di entrare anche solo un secondo nel mondo dell’ignoto e dell’insondabile per diventare parte di qualcosa di più, qualcosa che ci proietti nell’infinito.
Il termine giusto lo usa Stephen King quando dice che la serie provoca una sorta di stravaganza esistenziale; se sono una persona normale, che non legge o non guarda la robaccia splatter da discarica paranormale, ma che per circa mezz’ora decide spontaneamente di entrarci fino al collo, quello che vedo è la roba buona: quella che ti rimane e non finisce in fondo allo scarico. Allora sto usando bene il mio tempo!
Ai confini della realtà ha portato in televisione quello che gli scrittori avevano già fatto dentro i libri; ciò non toglie che Serling abbia creato qualcosa che ancora oggi vediamo in altri prodotti simili (X Files e Twin Peaks, per esempio); ha creato un nuovo stile, una nuova visione per tutti quegli spettatori che altrimenti non avrebbero mai frequentato i sentieri oscuri del deviante mondo del bizzarro.
Non sempre il prodotto finale era perfetto e a volte non era nemmeno passabile, ma ciò non toglie che alcuni episodi siano diventati dei veri Classici Assoluti che ancora oggi vengono ricordati come pietre miliari della televisione.
Le storie dei confini hanno sconfinato anche nel nostro paese; uno dei migliori interpreti di tale lavoro è stato Tiziano Sclavi, il “papà” di Dylan Dog, nel numero 77 (L’ultimo uomo sulla terra) e nell’albo numero 7 (La zona del crepuscolo). Ovviamente Sclavi e compagni (Angelo Stano e Corrado Roi) lo fanno a modo loro: seguono il loro sentiero, ma è innegabile che questo tributo ci sia, e sia anche forte. Il Crepuscolo alberga in loro in maniera evidente.
Credo che ogni scrittore di Fantasy, dagli anni cinquanta in poi, si sia ispirato a qualcosa che ha visto in televisione o al cinema, non perché mancano di fantasia propria, ma perché è inevitabile. Il nostro mondo personale, la nostra visione, si plasma attraverso quello che ci passa accanto: persone, cose, eventi, situazioni, suoni e immagini filmate.
Sinceramente Ai confini della realtà è solo un piccolo telefilm degli anni cinquanta che ha cercato di sopravvivere negli anni ottanta e oltre, ma certamente gli si farebbe un torto se non gli riconoscessimo il giusto tributo emozionale; una nota è d’obbligo per tutti quelli come noi qua in Officina che amano passeggiare ai bordi di quei confini senza timore, che hanno guardato ogni fotogramma con meraviglia, curiosità, emozionante desiderio di rivederlo ancora una volta.
Siamo consapevoli che forse stiamo inneggiando a robaccia galleggiante nella discarica paranormale, ma non ne possiamo fare a meno. Per noi Cine-TeleVisionari è stato importante, ci ha regalato bei momenti e quindi abbiamo deciso di ricordarlo.
Celebriamo con affetto qualcosa che ci ha distratto per un momento da un mondo dove le regole impongono al bizzarro di starsene fuori perché per lui non c’è posto. Questa è la prova di come la memoria sia ingannevole e burlona: decide lei cosa deve passare oltre il filtro degli scarti; quel qualcosa che ci fa sorridere di fronte al Male e grazie al quale possiamo provare ad andare oltre.
Credete sia troppo forte dire che prodotti come questo aiutano a migliorare la vita? Chiedetelo a tutti quelli che da bambini venivano presi di mira da coetanei senza scrupoli; chiedete loro se almeno una volta non hanno sperato che mostri e bizzarrie fossero vere, e che potessero fermare il Male. Oppure domandate a chi da adulto è diventato a sua volta un plasmatore di sogni se questa roba non ti salva la vita!
Ai confini della realtà andrà avanti anche senza di noi, troverà sempre un canale disposto a trasmetterlo: quel canale che sta oltre la Quinta dimensione, senza limiti come l’infinito e l’eternità, fra luce e oscurità, tra scienza e superstizione, in un baratro ignoto che vive nella regione dell’immaginazione oltre quel confine.
Categorie: Cinematografo, Televisione, Televisione classica
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