Quel patacca del Trinchetti
Buon giorno a voi, miei cari e fedeli amici lettori! Siamo di nuovo qui, per il consueto appuntamento settimanale col racconto del Capofficina. La storia di questa settimana fa parte di quel periodo un po’ strano e non classificabile di cui vi ho parlato in un’altra occasione, non ha una collocazione precisa; l’ho scritto perché mi andava di farlo, perché mi divertiva e poi volevo scrivere da sempre di donne e uomini come questi. Quelli che la vita normale schiaccia sotto al suo peso senza lasciare scampo. Ma basta chiacchierare! Passiamo al dunque…
Buona lettura!
Non era altro che un’illusa, una povera illusa vittima di sogni troppo più grandi di lei e del suo inutile piccolo mediocre mondo affetto da miopia devastante.
Non solo era una donna piccola e insulsa, ma si credeva una bellezza strabiliante: in realtà era solo qualcosa d’incolore e scialbo, senza pretesa alcuna.
Bassa di statura, con le gambe corte e tozze, i capelli radi, sottili e di un color topo senza storia, noioso come la donnetta; occhi marroncini fango, faccia larga e zigomi sporgenti, le occhiaie tipiche di chi dorme male per la digestione difficile. Perennemente in lotta col proprio peso, o troppo grassa o troppo magra e in questo modo era adesso come un materassino sgonfio: apparentemente magrolina, ma in realtà simile a un palloncino dopo troppo festeggiare.
La colpa andava di certo imputata alla sua totale mancanza di disciplina nel cibarsi; l’unica cosa in cui riusciva era nel procrastinare la dieta a ogni lunedì successivo al precedente. Una creatura senza volontà alcuna.
Non importa nemmeno quale fosse il suo nome, forse perché era un nome così banale da averlo essa stessa dimenticato. Disoccupata perché incapace di mantenersi un lavoro per più di due mesi, aveva collezionato tante mansioni da non possedere un curriculum bensì un catalogo di mestieri insulsi e non specializzati, aveva fatto di tutto, senza aver mai acquisito nulla di sostanzioso.
La cosa divertente di tutta la storia della sua inutile esistenza consisteva nel fatto di credere di essere al contrario una bellezza sensuale, intelligente e destinata a chissà quale meravigliosa vita dorata. Era così convinta di possedere le carte in regola per farcela da essere del tutto accecata da se stessa, dalla sua stupidità vuota e disperante.
Aveva la pretenziosa credenza che sarebbe diventata una grande attrice prima e una famosissima scrittrice poi. Non riusciva a mettere in fila due frasi con il congiuntivo corretto e la sua voce miagolante riusciva fastidiosa, da diventare una cacofonia deludente. Un miagolio senza tono, che più che prenderti e trascinarti ti prendeva e ti faceva addormentare.
Sposatasi in giovane età col primo cretino che ci era caduto, adesso si sentiva stringere la fede al dito: voleva amanti, storie, anche se al massimo poteva farsela con qualche tamarro di periferia più disperato di lei. Il marito era gonzo e non si era nemmeno reso conto di avere le lumache sulla testa al posto dei capelli e per questo lei si sentiva davvero potente.
Si credeva davvero una dritta, di quelle che non sbagliano mai. Anche se la sensazione generale era solo che al poveretto andava bene così, per non crearsi drammi, era una creatura pigra e senza volontà propria. Manteneva la donnetta perché era anche lui convinto che quella sua inutile moglie gli avrebbe prima o poi ricambiato il favore grazie alle infinite doti personali.
Era davvero certo che la sua consorte avrebbe sfondato: anche se l’unica cosa che poteva sfondare era la porta a vetri della stanza da letto cadendoci sopra.
Un giorno, per la prima volta nella sua inetta sopravvivenza, prese la Decisione più mirabolante di tutta un’esistenza: dopo aver messo i bambini sul pulmino della scuola e preparato la colazione al consorte, lo prese a colpi d’accetta per dodici volte, lasciandolo a grondare sangue su tutto il pavimento fino al pomeriggio inoltrato.
Si fece la doccia, andò a casa del gonzo di turno da cui si faceva togliere le mutande, poi andò in centro a fare shopping con due amiche e andò a recuperare i figli a scuola, che quel pomeriggio, dopo l’allenamento di calcio avrebbero passato il week end dai nonni.
Suppongo avesse calcolato tutto, o forse aveva seguito abbastanza attentamente le repliche di “Un giorno in Pretura” del sabato sera, fatto sta che tutto era stato pianificato con cura, con grande scrupolo. Tornata a casa intorno alle diciotto, pulì tutto lo scempio che aveva insozzato il pavimento, cambiò la pedana posta sotto al lavello, mettendone una sporca e buttando via quella tutta lercia di sangue, pulì la lama dell’accetta, facendovi aderire le impronte del marito e la fasciò in una vecchia maglietta della salute dello stesso, in fondo la salute del marito era passata in alte mani e poteva farne a meno. La scaltra donnetta aveva pulito la ferita e cambiato d’abito l’uomo; aveva infornato una bella cenetta pronta da microonde: crocchette di patate, riso alla cantonese, involtini primavera, cotoletta alla milanese, pollo fritto, cheesecake ai mirtilli e un bel mezzo chilo di gelato alla vaniglia. Tutto quel lavorio fisico e mentale le aveva messo addosso una gran fame, come la fame chimica che coglie i tossici dopo una bella fumata di erba sacra.
Il tutto annaffiato da bibita gassata zero calorie da litro e mezzo.
Un rutto liberatorio fu l’unico suono emesso dalla donna, togliendo il grugnire e lo sfregare delle mascelle che come ogni volta emetteva durante il pranzo. Un gorgoglio liberatorio per evocare lo spirito di tutta una vita mal spesa, mal consumata, mal destinata.
E il cadavere? Dove lo avrebbe messo? E come avrebbe fatto a spostarlo? Era un omino piccolo e leggero, ma da morto era comunque un sacco di patate e sarebbe stato un grande problema.
Pensava a questo, dopo il sonoro ruttino digestivo, davanti alla tele, che trasmetteva “Ballando con le stelle “ e le faceva pensare che anche lei un giorno sarebbe stata una stella ballerina.
Pensava a questo e guardava suo marito, vivo, vegeto e brontolante accanto a lei sul divano.
Si, perché la mirabolante pensata era solo una pensata, magari l’incipit di un romanzo che le avrebbe fruttato svariati milioni di euro tra i diritti editoriali e quelli cinematografici; il marito era sano come un pesce e cornuto come una lumaca, ma sereno e pasciuto nella sua condizione umana, irrimediabile ed ineluttabile. I bambini intanto si divertivano dai nonni, senza pensare al domani.
La piccola donna intanto sognava grandi momenti di gloria, che non sarebbero arrivati e lei in un certo senso lo sapeva.
Lo sentiva in un angolino del cuore, ma credeva che in fondo non vi era nulla di male nell’ illusione fallace di una speranza, anche se non ci sarebbe arrivata né prima né poi.
Si consolava non nel cibo, ma dentro gli inganni plastificati di un successo inarrivabile.
In fondo era irrimediabilmente insulsa e nessuno si sarebbe accorto di un dimagrimento o di un aumento del peso, non pesava nulla comunque: era inutile già di suo e ogni cambiamento passava trasparente come l’acqua su di un vetro.
Lei lo sapeva, sapeva di essere trasparente e senza storia: sua madre le ripeteva in continuazione che tutti ne hanno una, ma lei era certa di non averla, anche se non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura. Il marito a volte si scordava di averla acanto, se ne ricordava solo per i movimenti inconsulti e imbarazzanti del suo stomaco: l’unica cosa che la connetteva al mondo erano i rumori disgustosi che venivano prodotti in abbondanza; la sua umanità era riconoscibile grazie alla sconvolgente fisicità che la contraddistingueva.
Il lunedì mattina, dopo aver deciso di stare a dieta per ben quattro ore, preparò una bella torta alla frutta per tutta la famiglia. Vi mise dentro una dose di un famoso lassativo che si dava ai bimbi buoni: tanto per vederne gli effetti. I suoi figli, che evidentemente erano condannati a spingere non ebbero effetti, ma la vicina di casa curiosa, golosa e ficcanaso rimase sul trono una notte intera, imputando la colpa alla gelatina di frutta, che disdetta!
La donnetta rimase affascinata dall’esperimento e si ripromise, un giorno o l’altro, di provare nuove ricette. In fondo era brava a far torte; non che fosse paragonabile a Buddy Valastro, ma erano mangiabilissime e il vicinato e gli amici sembravano apprezzare i suoi sforzi, in fondo pure lei sapeva far qualcosa.
S’immaginava già al posto di Toni Brancatisano con una bella divisa immacolata a dettar legge su “GamberoRosso” e far morire d’invidia pure Nigella Lawson; vedeva lo studio tutto bianco perla, rosa e malva, con fiori freschi e decorazioni allegre a far da cornice alle sue meravigliose creazioni, col pubblico in visibilio e i produttori entusiasti più che a Natale e un bellissimo conto in banca.
Due sere dopo mise dell’arsenico nel minestrone del marito, lui lo trovò un po’ amaro, ma come cuoca non era granché e la cosa finì li.
Continuò a metterne piccole dosi per mesi, ma tralasciando una certa mancanza d’appetito, non accadde nulla di trascendentale, quindi, come aveva iniziato, smise.
Erano piccole dosi, non voleva far male a nessuno, la divertiva solo l’idea di avere un segreto immane da custodire; la faceva sentire strana, frizzante, attiva, tonica e più giovane.
Per non morire di noia, qualche giorno dopo averla piantata con l’arsenico, fece un’altra torta e vi mise un po’ di quelle pastiglie per non faticare. Questa volta lei stessa ebbe qualche problema, ma non vi diede peso perché si era comunque divertita.
I figli e il marito non riportarono danni permanenti e il solito tran tran riprese inesorabilmente insopportabile.
Aveva un nuovo gonzo da spennare cui preparava torte con le sue “sorprese”, piccole e non troppo appariscenti; quel tanto da tenerla sveglia e attiva, per non soccombere al grigiore dell’esistenza di provincia. Questo era pure più giovane di dieci anni e la faceva sentire davvero sexy ed irresistibile, anche se i bene informati sapevano che l’unico motivo per cui il pollo ci stava consisteva nella sua nota disponibilità a far qualsiasi giochino senza far casino.
Era pur sempre una donnina senza attrattive, con la cellulite e la pelle cadente ma disponibile come le professioniste, con la differenza che non si faceva pagare. E per gli uomini questo bastava alla grandissima. In fondo non era antipatica e non faceva storie, anzi, era la prima a non crearne: insomma, la scopata perfetta. Il marito non se ne rendeva conto, o forse preferiva fare il finto tonto, per non creare scompiglio e pettegolezzo nel vicinato, era cresciuto in una famiglia discreta e la cosa gli andava bene così. Era pigro e poi riceveva ampiamente la sua dose quotidiana di moglie.
Le cose assunsero una piega differente quando traslocarono i nuovi vicini di casa: una bellissima coppia giovane, simpatica, alla mano e moderna.
Erano davvero l’attrazione principale del quartiere: qualcosa di cui parlare, discutere, sparlare e decidere da che parte collocarla. Un evento che poche volte avveniva in quel determinato angolo di mondo. Uno strappo alla noia, la ricompensa per tutte quelle gole ormai arse dal chiacchiericcio stantio delle infedeltà mature e improbabili del vicinato intero, una vera e propria ventata di nuovo in un vecchio mondo remoto.
In un primo momento la nostra eroina ne fu entusiasta: avrebbe avuto un metro di paragone con cui confrontare i progressi fatti per diventare una diva di prim’ordine; la nuova moglie era non solo molto simpatica, ma anche davvero molto sexy, bella ed elegante.
Una cosa ignobile, ingiusta e crudele per tutte le altre aspiranti al titolo.
La vedeva ogni giorno uscire da casa per recarsi al lavoro e in palestra, aveva addirittura una sua indipendenza economica! Ogni giorno con un abito differente, fresco e sempre adeguato alla sua figura e al suo lavoro. Aspettava con gusto malsano la sua uscita, si metteva dietro ai vetri di cucina in attesa: si alzava prima per preparare la truppa e appena il marito usciva lei si metteva lì, a far la posta a quella stramaledetta vicina di casa.
Ovviamente le conseguenze non si fecero attendere: i vari pollastri erano meno interessati alla disponibilissima signora, la nuova moglie era molto più appetitosa e anche se non li degnava nemmeno di uno sguardo sbieco non importava, adesso la donnetta poteva pure andare a farsi fottere in un altro quartiere.
Sulle prime non se ne rese conto, il suo quoziente intellettivo non era esattamente quello del generale Swarzkopf e diede la colpa al nuovo taglio di capelli che si era fatta per tenere il passo; poi iniziò a paventare che forse la sua notoria disponibilità fosse meno interessante ora che la bellezza con la B maiuscola le stava davanti casa. Ma non si perse d’animo: in fondo poteva vendicarsi provandoci col Bellissimo Marito della Bellissima Moglie.
Il giovanotto era uno di quelli che di solito vedi sulle copertine delle riviste patinate: bello, elegante e sempre alla moda, con un tocco chic e sportivo, dal fisico perfetto, dal taglio di capelli perfetto, dal sorriso perfetto. Una perfezione, come dire,” sospettosa”, ma pur sempre degna di nota.
Poco importava se per caso avesse aiutato Madre Natura con visite regolari dal chirurgo, la cosa importante era che non si notava affatto e che gli effetti si facevano dare del Voi.
Tutte le donne del vicinato avevano capito che la poveretta si stava invaghendo del nuovo arrivato, con grande ilarità ne sparlavano alle grigliate e durante le sere al circolo, si divertivano alle sue spalle e non smettevano di ringraziarla, potevano uscire dal grigiore e deridere una sfortunata, una che lo era più di loro.
Forse anche lui se n’era accorto, ma era un gran signore e non era snob, faceva finta di nulla, come diceva il poeta e continuava la sua gran bella vita accanto ad una gran bella moglie.
Il marito incolore questa volta non si era accorto di niente: era contento perché finalmente sua moglie era solo sua, credeva di essere tornato il signore del suo cuore ed era di buon umore. Il vicinato sghignazzava malignamente, lui gongolava e la moglie non più apparentemente infedele aveva trovato una sua dimensione.
In realtà era solo l’apparenza di una normalità che non ci sarebbe mai stata, era l’anticamera di una tragedia e nessuno, nemmeno la donnetta, se n’era accorta. Esatto: era l’anticamera di qualcosa che avrebbe mutato per sempre la geografia di quel piccolo pezzo di mondo.
Le tragedie a volte arrivano dopo le tempeste, ma più spesso accadono nel momento in cui le difese sono abbassate perché tutto è apparentemente perfetto; arrivano e cadono sula terra come fulmini in estate: ed anche questa tragedia sarebbe successa d’estate, durante uno dei peggiori temporali della storia di quel posto e nessuno avrebbe potuto farci nulla.
Ma andiamo con ordine: era ancora primavera inoltrata quando la Bellissima Coppia iniziò a soffrire di strani disturbi gastrointestinali e a ricevere strani messaggi.
Loro non erano sospettosi e non mossero accuse verso nessuno, e a dire il vero nessuno lo fece: i due pensarono di essere troppo stressati, inoltre la donna aveva cambiato lavoro e alcuni colleghi non erano entusiasti del suo arrivo.
Poi, un bel giorno, il marito incolore si rese conto che oltre alla moglie esistevano altre creature di sesso femminile. Esatto: iniziò una relazione extra coniugale con una collega più giovane di quattordici anni. La fabbrica è un Piccolo Mondo Antico e Pettegolo, quindi in breve tempo la donnina seppe. Si rese conto che le corna pungono un bel po’ l’orgoglio e la pelle della testa e che danno fastidio; si accorse che a volte chi la fa deve aspettarsela e con gli interessi.
Si sentì infastidita perché pensava di essere l’unica in casa ad avere questo diritto, ma fece comunque finta di nulla. Il grosso problema era che questa volta l’omino si era innamorato: già, aveva fatto la cazzata che fanno in molti, quella di iniziare a crederci davvero.
Così la vita era stravolta, l’innata pigrizia che lo contraddistingueva gli impediva di lasciare la famiglia, la giovane amante e il lavoro.
Gli animi si scaldarono e la giovanotta iniziò a far telefonate mute a casa della Famiglia Imperfetta; all’inizio nessuno ci fece caso, ma poi divenne un fastidio e per la prima volta in vita sua la donnina prese una decisione: Si fece cambiare il numero senza dirlo al marito, lui non chiamava mai a casa e se ne rese conto solo due settimane dopo.
A quel punto l’estate era inoltrata, calda, torrida, crudelmente afosa e appiccicosa come miele e carta moschicida e l’animo ormai ossessionato della signora incolore era sempre più fremente.
Era ingrassata, stava sempre in casa con addosso solo un vecchio e bucherellato pigiamone e i capelli unti, l’igiene personale a quel punto era solo un ricordo e il marito trovava tutti i pretesti per dormire dalla “sua ragazza”, come gli adolescenti innamorati.
Provava fastidio per quella donna che un tempo era stata così diversa: ora si rendeva conto di tutta la sua inutile ovvietà, della povertà di spirito, dell’inettitudine e dell’ignoranza estrema che la caratterizzava, inoltre adesso era anche diventata una cialtrona sporca e puzzolente, una specie di rottame senza speranza.
Fu in uno di quei pomeriggi afosi che quel pezzo di mondo precipitò nel vuoto.
L’omino tornò a casa dopo il lavoro quel giorno, era l’ultimo di lavoro e stava preparando le valige per andare a Cattolica con la “sua ragazza”, sarebbe stato via tre settimane e non aveva detto nulla alla moglie. Quello che trovò a casa fu come una cascata di merda sul gelato: c’erano già i carabinieri sull’uscio, stavano cercando di sistemare la situazione, ma non era facile tener ferma quella donna impazzita sporca di sudore, sangue e cattiveria.
I vicini allibiti osservavano la scena come se fosse un drammone holliwoodiano degli anni cinquanta: peccato che la ormai ex moglie non fosse Lizzy Taylor e lui Monty Clift.
La scena del crimine era stata recintata, si aspettavano il magistrato e il medico legale mentre quel poveraccio del marito cercava di raccapezzarsi in quel tutto miasmatico dramma: venne avvisato che casa sua era sotto sequestro, la moglie in arresto e che non doveva andare da nessuna parte.
Gli rovinò il mondo addosso: non capiva e non voleva nemmeno farlo.
Voleva scappare via da lì con la sua amata, non voleva capire il motivo per cui la moglie avesse accoltellato la vicina di casa provocandole ferite potenzialmente letali.
Non voleva vedere tutto quel sangue né tantomeno le sirene blu dell’ambulanza che cercava di farsi strada tra il vicinato con la povera Bellissima Moglie impacchettata dentro ad una metallina, non voleva incontrare lo sguardo attonito del Bellissimo Marito che col mutismo degli occhi chiedeva “Perché”. Aveva la nausea, mal di testa e tanto freddo.
Si vergognava come un ladro perché sapeva che era anche colpa sua.
Era consapevole che se avesse usato le palle non per scopare ma per scappare via da lì qualche anno fa adesso tutto sarebbe ok, senza casini grandi come case.
Sedeva sul marciapiede davanti all’uscio, con la testa tra le mani, piangeva per se e per gli altri e nascondeva gli occhi per la vergogna.
Vedeva con la coda dell’occhio le parabole delle Tv che erano arrivate per violentare quel pezzettino di mondo, più di quanto avesse fatto quella deficiente di sua moglie.
L’asfalto tremolante luccicava come un lago di mercurio, il sole lassù nel cielo non si era mosso di un millimetro e la sua vita come la conosceva era finita per sempre.
Gli inquirenti erano al lavoro, la donnina era stata sedata e messa su di un’ambulanza e i giornalisti stavano affilando le penne. Il mondo era crollato, ma lo show doveva pur continuare.
Poco importa se qualcuno muore e qualcun altro sopravvivrà a malapena, non importa se la vita si ferma e non riparte. Lo show deve andare avanti comunque, senza esitare un istante, deve continuare per illuminare quelle inutili esistenze opache come plastica sporca; andare avanti con gli occhi foderati di prosciutto e la digestione lenta come nel primo pomeriggio d’Agosto. Andare perché è ora, il tempo è finito.
Le sirene urlavano nel pomeriggio caldo e un vicino solidale si sedette accanto a lui, gli mise un braccio sulla spalla e gli disse poche semplici cose: “sei proprio un patacca vigliacco, Trinchetti …”
Se ci credete, mentre leggete del povero Trinchetti potete farvi un’idea delle loro vite ascoltando questa canzone…
Categorie: Libraio, Racconti, Scrittoio
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