The Young pope. Una favola Nera

Ormai è passata qualche settimana dalla fine esplosiva, è il caso di dirlo, della miniserie HBO, Sky plc, Canal + made in Paolo Sorrentino e quindi credo anche il clamore attorno a questo immane (strabiliante) carrozzone sia scemato a sufficienza da poterne parlare con calma ed assertiva, papalina concretezza.

10 puntate, 24 settimane, dodici ore di montato, 10 andate poi in onda. Senza tregua. Senza respiro. E dire che pure dio, secondo la bibbia il settimo giorno si riposava. A quanto sembra Sorrentino (ma soprattutto la sua squadra) si è meritata l’inferno a furia di bestemmie. E di lavoro continuo.

Ho impiegato tempo per capire i motivi, veri, profondi per cui quest’opera è stata per me Amore a prima vista.

Si, perché subito dalla prima inquadratura ho compreso che non avrei potuto mai più fare a meno di quel Lenny Belardo, del cardinale Voiello, di Dussolier, Bernardo Gutierrez e del cardinal Caltanissetta, di suor Mary ed Esther e di quel Vaticano sempre deserto e desolato. Un Vaticano che con Sorrentino si trasforma in non luogo, ambiente ostile e materno allo stesso tempo,  ventre gonfio e marcio di una umanità ostile, disperata e sola, dove l’essere umano comprende sino in fondo la sua Umanità ma al tempo stesso rischia di perderla per sempre.

 

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Signore, rendimi puro, ma aspetta un secondo, ok?

 

Ho preso tempo, anche se avrei voluto dire queste parole cinque secondi dopo la messa in onda del’ultimo episodio, ancor prima di vedere “quel” finale. Ora sappiamo che ci sarà una seconda serie. Il rischio di saltare lo squalo e bombardare il frigorifero in un sol colpo è una realtà contingente. Ma stiamo pur sempre parlando di un Signore del Cinema, quindi lascio il bicchiere (di birra ghiacciata senza glutine) mezzo pieno. Forse Jimmy Fallon ha ragione e assisteremo ad una “House of Cardinals”. Ma adesso no. Adesso abbiamo visto qualcosa che ci ha riempito lo sguardo, lo ha invaso, colmato lasciandoci con gli occhi aperti spalancati dinnanzi ad una visione, una rivelazione.

Inizio col chiedermi: perché mi garba così? Non certo perché il regista è Sorrentino Paolo. A me “La grande Bellezza” non è piaciuta. No. lo trovo lento. Anche se Tony Servillo è talmente tanta roba che può passare due ore ad inquadratura fissa leggendo seduto su una poltrona da dentista il bugiardino del Gutalax meritandosi comunque un Oscar o un Golden Globe.

Mi piace perché Sorrentino Paolo a mio modesto (e metalmeccanico avviso) è il Federico Fellini del terzo millennio. Mi piace perché questo film nobilita il cinema e la televisione italiana, tanto povera di contenuti e tanto ricca di serie pessime e raffazzonate, e dice al mondo che noi italici televisionari siamo Potenti come al cinema (quando ne abbiamo).

La Stampa l’ha definita una “non-serie Tv”. A modo suo è vero. Ma personalmente credo sia molto, (o molto meno) molto altro. E’ soprattutto una favola. Nera. Nera come l’assenza di colore. Non certo perché  l’opera (immensa) di Sorrentino sia vuota o scialba, no no. E’ l’esatto opposto. Prende le migliaia di sfumature che il Nero della vita possiede. Nera come la malvagità che tenta di sfondare i cuori dei protagonisti, come la corruzione che in ogni angolo fa capolino in quei giardini (delle delizie apparenti) vaticani tanto esotici quanto chiusi come un eterno conclave. Nero come la solitudine (dei numeri primi) dei personaggi abbandonati al loro destino da un Destino più grande e alto di loro. L’oscura presenza del Male, sempiterna faccia di quel Bene troppo politicamente corretto che si cela nei cuori dei personaggi, che a modo loro sono tutti buoni, cattivi, sensibili ed insensibili. Come le persone. La vita è al tempo stesso uno strano sogno e una quotidianità celata dietro segreti e misteri, tra mille sfumature di un caleidoscopio rotto che riflette (senza riflettere) le istanze di un vissuto passato in giudicato dal tribunale del tempo. Le oscure presenze che girovagano nei corridoi del potere vaticano, sempre in cerca di un consenso che dia loro potere, per mantenere quello stato di cose che invece il giovane Pio vuole ad ogni costo estirpare prima dai corridoi e poi dai cuori. Perché Pio è davvero così. Una specie di santo miracoloso, una creatura che crede davvero non tanto in dio, anzi. Ma che crede che il cuore delle persone possa contenere l’Amore. Lenny non crede in dio come ci si aspetterebbe da un pontefice. A volte tentenna, si chiede se dio esiste, se è davvero misericordioso e se per caso non sia morto davvero su quel Golgota assieme a suo figlio. Lenny/Pio XIII al contrario crede fermamente nell’Amore. E nelle sue capacità. Non prega. Lui Esige che dio gli dia ascolto ed esaudisca ciò che chiede. Lenny non prega, ordina anche a quell’essere supremo di cui è vicario terrestre. Vive nella solitudine dell’assenza dei genitori, in un freddo glaciale che lo rende eternamente figlio e mai padre. Una solitudine che lo opprime, che gli mostra una vita castrata e senza soluzioni certe.

 

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Io non ti prego Signore, io ti ordino….

Quel cadinal Voiello che trama alle spalle del giovane papa, che nasconde le sottigliezze del far politica e il desiderio di Potere supremo. Ma che al tempo stesso custodisce l’amore nel cuore. L’amore per il piccolo Girolamo, il suo silenzioso migliore amico, quello per suor Mary, tanto terreno quanto platonico. E nasconde quella sua Umanità di cui da prova quando capisce che il papa è davvero un santo, così tanto differente da tutti loro.

 

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Rendimi casto Signore, magari tra qualche ora… ok?

 

Ma è anche altro dalla favola, nonostante ne possegga tutte le caratteristiche (canguro compreso). E’ una storia horror. Nel senso di quell’horror di cui sopra; una storia Morale. Di quelle che vivono in quello spogliatoio di lupi mannari dei Conservatori in doppiopetto di Mr. King. Le storie dove i buoni vincono e i cattivi (apparentemente) perdono. Il caso (morale) triste ed emblematico dell’amico fraterno e compagno di sventure Andrew Dussolier che subisce tutta la potenza del suo non essere puro. Prete di frontiera che denuncia in Sud America la corruzione dei signori della droga ma che al tempo stesso cede ogni volta che gli va ai piaceri della carne, senza freni inibitori, come un qualsiasi altro uomo. Dimentico del giuramento supremo fatto a dio. Viene brutalmente massacrato dal boss locale in Nicaragua non perché lo ha denunziato durante la messa, ma perché ha pensato bene di scoparsi la sua bellissima moglie trofeo. Dussolier che rappresenta tutto ciò per cui Lenny invece combatte strenuamente e che subisce il destino dei “cattivi”.

 

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Signore ti prego, non rendermi casto!

 

Anche il monsignor Bernardo Gutierrez ha un segreto, una debolezza che cerca di tenere nascosta al papa. Ma il papa sa sempre tutto senza dirlo a nessuno. Bernardo l’ubriacone omosessuale che decide comunque di superare la sua umana debolezza, che rimane puro di cuore e che cerca con ogni mezzo l’approvazione del giovane papa, che nonostante tutto lo accetta, e a modo suo lo ama, perché ne intuisce il potenziale; comprende che la sua debolezza diventa forza quando ce n’è bisogno. Non cade sotto la scure della Morale perché è anch’egli puro in spirito.

 

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Signore rendimi puro perché ne ho bisogno!

 

La favola Nera/Horror/Morale di Sorrentino ci dice che in fondo al nostro cuore umano troppo umano si trova l’Amore. Anche se siamo soli e fragili come i protagonisti. Come suor Mary, la mamma/madre/innamorata dei due amici per la pelle. Quella suor Mary che li comprende appieno perché anche lei orfana, una creatura dimezzata nel suo essere, perduta nell’assenza dell’amore terreno che viene cercato nelle pieghe di un rosario e nella consapevolezza di dover consacrare al Signore la propria esistenza per imparare a dare e ricevere quell’Amore di cui si sente la mancanza. Lei che diventa Madre, compagna, sorella, amica, confidente. Essere mai inferiore al maschio, di cui è subordinata solo per caso, che sovrasta comunque il maschilismo vaticano, diventando qualcosa di Superiore e fondamentale. (Quella creatura di cui si dice che senza, i maschi si piscerebbero sulle scarpe)

 

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Signore, ti prego, puoi aspettare a rendermi casta?

 

Senza dimenticarsi del cardinale Michael Spencer, l’antagonista del papa. Che subisce tutto il percorso da antieroe ad alleato. Fino a tornare ad essere il buon padre di cui Lenny/Pio necessita. L’uomo con la malvagità nel cuore che comprende la verità (o una delle sue varianti) e decide di fare quello per cui è al mondo. Spencer è l’unico personaggio di cui Lenny ha una sorta di timore, l’unico che ascolta davvero. Un vero surrogato paterno che se toglie l’amore toglie la stabilità al fragile uomo troppo giovane e solo. La sua fine sarà il vero tormento interiore di questo papa tanto forte quanto fragile, tanto solo quanto inserito nel mondo.

 

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Signore, ti prego, lasciami in pace!

 

Tutti i personaggi in The young pope sono vittime e carnefici di loro stessi e degli altri. La vita assume l’importanza suprema della sua(in)sostenibile leggerezza, ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria, tutto avviene perché fatidico e importante. Nulla è casuale. Non solo per la maniacale costruzione del regista/Terribile Tartaro. Nulla avviene per caso. Il Destino di ogni creatura viene scritto dal grande Padre che veglia su di noi. La luce divina che illumina i Puri mettendo in ombra tutti gli altri esseri umani, scende sui cuori e sulle azioni, risplende di quella qualità lattea propria del puro in spirito, del puro in azione.

The young pope mi piace un casino perché vive in una sua perfezione fuori dal tempo. La riguarderemo tra quindici anni e ci accorgeremo che sarà sempre attuale, non avrà perso in splendore, in potenza, e credo nemmeno in attualità. Perché il Nero dei cuori impuri sarà sempre lavato via dai puri in spirito, ma quell’oscurità non si spegnerà mai del tutto nella luce divina dei puri di cuore.

Ogni cosa, ogni personaggio, sarà sempre vivo nel tempo dentro questa favola morale e meravigliosa, dove ogni cosa cerca la sua collocazione e dove le cose non avvengono come riempitivo.

Alla seconda stagione spetta un compito arduo.

Perché gli squali bianchi ogni tanto arrivano sino a riva e le esplosioni atomiche salvano i frigoriferi. Ma nessuno può sapere se le pinne di squalo bianco rimangono saporite uguale dopo che il frigo è saltato in aria…

 

Categorie: Attualità Vintage, Cinema, Televisione

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