Innalzeremo un muro tra noi e gli altri e lo chiameremo Wall of Sound! Parola di Phil Spector
IN GOD WE TRUST, BUT IN ROCK WE BURNST
PHIL SPECTOR SPIEGATO AI MIEI NIPOTI. MA PARTIAMO DA LONTANO…
Questa notte in America è andato in scena uno degli spettacoli che tutti, Democratici e Repubblicani aspettano impazienti, in pratica il Super Bowl elettorale, lo show che tiene col fiato sospeso e diverte le platee del paese. E che tutti poi il giorno dopo commentiamo con sempre gli stessi commenti ogni anno: discorso bello/brutto, lungo/corto, il più scaricato/twittato.
Melania, la bella, malinconica, multilingue First Lady è arrivata sola, vestita di bianco e con il solito sorriso triste come un film di Zeffirelli e tutti i commentatori a dire che si, lei si, si veste così per fare da contraltare alle cornacchie democratiche in nero del #MeToo, perché è vicina al marito e poi si siede in mezzo alla gente comune, e via così in un elogio smodato a questa povera donna, scusateci ma è il caso di dirlo, che ha la sventura di stare nel posto sbagliato, con la persona sbagliata nel tempo sbagliato. Esatto. Secondo noi, e siccome tutti danno letture a caso dei suoi outfit e delle sue apparizioni noi non ci sentiamo da meno e vogliamo partecipare a questo Tea Party di comari pretenziose.
Mi state per dire qualcosa vero? Una cosa tipo: Ma qui non parlate di Arte Musica Spettacolo? Adesso ci arriviamo. The Donald e Melania poi, fanno sempre Spettacolo e di quello grosso e rumoroso.
Secondo noi Melania entra sola e in bianco per diversi motivi. La ABC trasmetteva in contemporanea al discorso sullo stato dell’Unione l’intervista a Stormy Daniels (la pornodiva che accusa il Pres) Il bianco è come dire “mio caro, vai in bianco”. Inoltre non dimentichiamoci che il bianco, in molte culture, è il colore del lutto. Non è abbastanza forte, come messaggio? Melania è una ex modella, ci sembra molto improbabile che nel corso della sua carriera non abbia subito delle molestie o tentativi in quella direzione.
Forse è troppo baroccamente machiavellico intendere la sua chiamata occulta al #MeToo in questo modo? Lei ci sembra una donna intelligente e furba e ci piace pensare che sarà lei a soverchiare lo strapotere sessista del marito, sarebbe un bel film non vi pare? In fondo a volte abbiamo la sensazione che tutta la presidenza Trump lo sia. Un film lungo, noioso e pieno di pericolo.
Una menzione speciale poi va ai poliziotti che hanno adottato la figlioletta di due tossici. Che bella cosa, finalmente la polizia si riconcilia coi dragati! Sbagliato. Avete presente The Shield? No?
Ci sembra di leggere in questo una chiara presa di posizione: miei cari cuochi di crystal meth ed affini, visto che siete tanto inetti, i vostri virgulti li cresceremo noi (Ignari forse del fatto che spesso le dipendenze sono genetiche) e li trasformeremo in buoni americani e non in potenziali white trash.
Parliamo poi delle 40 mila bandiere, 40 mila Old Glory che grazie a un ragazzino che sembra uscito da un libro di Salvator Gotta vengono messe sulle tombe dei veterani morti in tutte le guerre nel corso del 2017. Sia ben chiaro che questo ragazzino ha tutta la nostra stima perché ci dice una cosa terrificante: ai veterani morti non viene data nemmeno una bandiera. Sono la cane da macello, i figli reietti di una nazione grande quanto un continente e non c’è nemmeno una coperta, una bandiera, che come direbbe Caparezza, serve ad addormentare ogni senso di colpa.
Può sembrare un’inezia, un vile tentativo di svilire una nazione, ma non preoccupatevi: ci pensano già da soli alla grandissima a svilirsi. Molto prima di eleggere l’attuale presidente, ben prima di lui i suoi predecessori avevano pensato bene di nascondere tutti gli arti e le ceneri dei soldati sotto il tappeto di una storia (illusoriamente) meravigliosa.
I Dem cosa fanno a questo punto, per arginare l’ondata di questo copia incolla dei tweet 2017 del Pres? Ma certo. Quello. Raschiano il fondo del barile e schierano l’ennesimo Kennedy che poi magari è quello giusto, sia chiaro, non vogliamo criticare una scelta anche se per noi è un po’ come definirla, para C? Ve l’abbiamo detto che non c’è molta scelta.
In ogni caso Kennedy in maniche di camicia, che sullo sfondo ha una muscle car in riparazione, beh, se non è un lapsus freudiano questo, allora spiegatemi cos’è….
Insomma gente, ieri sera c’è stato un grande spettacolo ad uso e consumo di milioni di americani e di miliardi di persone nel mondo che aspettavano questo momento per fare quello che stiamo facendo anche noi: parlarne, a vanvera, ma parlarne. In fin dei conti qui si parla anche di super eroi, giusto? In un certo senso possiamo dire di si, ma il posto migliore è un altro.
IN PHIL WE TRUST
In Officina ci siamo chiesti: ma a quale musicista potremmo accostare The Donald? Forse a GG Allin. Magari Henry Rollins. Ma siamo sicuri che entrambi se ne avrebbero a a male, compreso Allin dall’aldilà. Giustamente, aggiungiamo noi, perché entrambi non solo erano e sono dei grandissimi musicisti, colti, preparati, ammirati dagli opposti schieramenti ma soprattutto dei veri Artisti.
A questo punto, senza nessuna esitazione, è stato chiaro chi sia l’unico musicista che si può associare al Presidente: Phil Spector.
I motivi sono tanti e diversi tra loro.
Il primo e più evidente è la passione per i muri. Anche se il muro (che a dire il vero è stato iniziato negli anni 90 e anche un certo Bill Clinton ha qualcosa da dire in merito) di Trump non è esattamente come quello di Spector.
Se ha un merito, Phil Spector, questo pazzo musicista geniale è proprio l’invenzione del Wall of Sound. In parole semplici è quell’effetto sonoro denso e di forte riverbero perfetto per le radio AM e per i jukebox. Si ottiene quando molti musicisti suonano assieme molti strumenti solisti, come la chitarra, per intenderci come se fossero un’orchestra. In fase produttiva poi queste incisioni vengono raddoppiate e triplicate per creare quell’effetto di pienezza del suono, di potenza sonora. Il suo Muro del Suono che prevedeva l’uso di strumenti come fiati, ottoni, archi che mai prima di allora nessuno aveva usato.
Phil Spector era un genio, ma come tutti geni, come Brian Wilson o Syd Barret, a un certo punto ha sbiellato.
Sin da ragazzo era ossessionato dalle armi da fuoco, si dice a causa di un episodio di bullismo che lo vide vittima e che lo lasciò traumatizzato. Era un musicista di talento, ebbe addirittura dei brani in classifica con la sua prima band, i Teddy Bears. Questo però non poteva bastargli, perché era un fottuto bastardo pieno di talento e magari consapevole che come musicista non avrebbe potuto far di più. Phil Spector sapeva che da quel momento le cose erano mature per un nuovo deus ex machina o magari un Magister Musicorum in grado di sfornare successoni a ripetizione.
Come musicista era un pignolo, quasi allo sfinimento, non era mai soddisfatto e tale era come produttore. Si era messo dall’altra parte perché era convinto che il produttore poteva diventare l’elemento aggiunto di ogni band; secondo lui un album intero era composto da due hits e da dieci brani spazzatura e per certi album aveva ragione da vendere, credo sia sotto gli occhi di tutti, non amava i riempitivi, credeva solo nel successo torrenziale e non faticava a procurarlo a chi lavorava con lui.
E i “suoi” erano persone del calibro delle The Ronettes (sposerà addirittura Veronica Bennet, la loro cantante) The Crystals, Tina And Ike Turner, Righteous Brothers, George Harrison, Beatles, Jhon Lennon e non certo ultimi i Ramones.
La via del successo però a volte e mal lastricata e capitano gli incidenti.
Intorno al 1973 inizia a collaborare con Jhon Lennon : Phil Spector aveva la pessima abitudine di andare al lavoro pieno di alcool e droghe e con una delle sue tante pistole in tasca. Un giorno, così, senza motivo, decide di usare come tiro al bersaglio il soffitto dello studio e per poco Lennon non perde l’udito da un orecchio, non male vero, come giornata tipica di lavoro assieme a Phil spector.
Sarà però il 1974 a renderlo l’amante delle parrucche che sarà da lì in poi. Ebbe un incidente quasi mortale dove ricevette 400 punti alla nuca. diciamo che se è vera la teoria delle botte in testa, ecco spiegati tutti gli eccessi successivi.
Anche i Ramones racconteranno che durante la lavorazione del loro quinto album in studio, End Of Century, le bizzarrie e i problemi erano all’ordine del giorno.
Joey Ramone volle lui perché ne era una grande ammiratore per quello che aveva fatto coi Beatles e i gruppi femminili; il risultato fu deludente per i fans della prima ora, ma sicuramente permise alla band di proiettarsi nell’Olimpo della musica, perché End Of Century è un capolavoro rock con tutti i crismi. Brani come Do you remember roc’n’roll Radio? o Baby I Love You sono diventati classici, hanno svalicato i confini di genere e certamente la pazzia di zio Phil ha aiutato.
Phil Spector aveva la pessima abitudine di rinchiudere Veronica nell’armadio, era geloso all’inverosimile e non per caso il loro matrimonio finì malamente. Ebbe altre due mogli e diversi figli, di cui uno morì quando aveva solo nove anni di leucemia.
Il dramma però arriverà davvero nel 2004, quando ebbe la malaugurata idea di “lasciar suicidare” nel suo salotto la povera Lana Clarkson, attrice di nicchia degli anni 80 e ormai caduta in disgrazia. Ovviamente nessuno gli credette e 19 anni di galera non glie li tolse nessuno sano di mente.
Una sera, quando ormai la follia del produttore Phil Spector era sicuramente fuori controllo, la sua vita e quella della povera Lana si incrociano. Un invito accettato forse nel tentativo di poter tornare in quel mondo da cui era stata esclusa e poi la tragedia inspiegabile, senza senso, che la vede uccisa dallo stesso Spector senza un motivo apparente.
Forse solo per quella follia latente che lo contraddistingueva, per quel desiderio di possedere fine a se stesso che lo aveva reso schiavo del successo, delle cose e delle persone, senza rendersi conto di dove finiscono i confini tuoi e quelli degli altri.
Confini che aveva abbattuto col suo Wall of sound, portando la musica dei neri d’America alla middle class, sposando una ragazza di colore in anni difficili, apportando alla musica quello che oggi noi diamo per scontato. La follia del Re Phil.
Quindi, sinceramente, Phil Spector e Donald Trump, che cosa hanno in comune?
Quello che accomuna tutti gli uomini come loro.
La brama di successo, il delirio di un’onnipotenza che li rende (solo ai loro occhi, sia chiaro) immortali, il desiderio di comandare, di essere sempre i numeri uno, di sentirsi amati, di avere tutto sotto controllo. Uno è un assassino, che prima di essere tale è stato uno degli innovatori della musica moderna l’altro invece è il presidente degli Stati Uniti.
Tutti sappiamo che alla fine della fiera, quando le luci si spengono, i presidenti sono tutti uguali, tutti, Rep e Dem. Anche se ci raccontiamo la favola del parrucchino arancione per sentirci meglio. Nessuno ha dimenticato Clinton, e il suo 1994 (Bowling a Columbine: ve lo consiglio per rinfrescarvi le idee).
La differenza però non potrebbe essere più evidente: Trump vuole alzare muri in mattoni, difficili da abbattere. Muri di propaganda.
Phil Spector invece ha innalzato il Wall of sound per unire le differenze, magari per uniformare un sound che altrimenti sarebbe andato perduto per sempre.
In God we (but not me) Trust, Mr President. Credete pure in Dio, che noi vecchi nostalgici abbiamo il nostro Mount Rushmore, chiedetelo ai Deep Purple se non ci credete.
In Rock we (an me) Trust.
Categorie: Al peggio non c'è mai fine, Attualità Vintage, Biografie, Grammofono, Musicisti, Personaggi, Spettacolo
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