HollywoodIntolerance
Tutti, il giorno dopo la Notte degli Oscar 2016 si pongono il disarmante quesito: ma a Hollywood sono razzisti oppure no? Bene, cominciamo dal principio e proviamo, pescando tra alcuni degli episodi più famigerati, senza pregiudizio alcuno (giuro!!), a mettere i puntini sulle I.
Era il 1915 e nasceva una Nazione.
Hollywood stava diventando la colonia più prestigiosa d’America e lo faceva grazie al “Padre Pellegrino regista” più visionario della storia del cinema (almeno prima di Kubrick e Fellini), David Wark Griffith.
Ispirato da The Clansman e The leopard spots, i romanzi di Tomas Dixon che faranno da pietra miliare per la rinascita del Ku Klux Klan, gira Birth of a Nation, il cui successo verrà scalzato dal libro dei record solo nel 1937 da Biancaneve e i sette nani.
Quindi? Che c’è di male? E’ un normalissimo film storico, direte voi.
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Beh, il vecchio Dave era convinto, come il romanziere, che i “negri” fossero creature inferiori colpevoli di ogni problema in America e che quindi il KKK fosse la risposta al “male”. Non solo: le donne erano spesso interpretate da attori travestiti, come i neri, che erano attori bianchi truccati. Nonostante gli strali del presidente Wilson il film incassò una cosa come dieci milioni di dollari degli anni dieci, un successo incredibile costato così tanto (110.000 dollari) che in quel 1915 i biglietti per vederlo costavano invece che il solito nickel ben due dollari (!!).
Nel 1922 uno dei maggiori sospettati dell’omicidio di William Desmond Taylor, regista di grido ucciso in casa sua, fu il suo “maggiordomo negro” Henry Peavy il quale (come scrisse il Los Angeles Examiner) urlava lungo Alvarado Street che avevano “uggiso il badrone!”. La giornalista Florabel Muir, fiera sostenitrice della sua “golpevolezza”, aveva imparato dal cinema che “le persone di colore credono fortemente nei fantasmi”, quindi per farlo confessare sarebbe bastato metterlo d’innanzi al fantasma della sua presunta vittima (…!!).
Siamo nel 1927, quando Alan Crosland dirige Al Jolson che interpreta il primo film considerato Talkie (parlato), Il cantante di jazz, e il cantante è una macchietta comica, una ragazzo ebreo che si finge nero per cantare il jazz (??)
E’ il 1939 quando Victor Fleming dirige Via col vento.
La svampita Prissy è la cameriera schiava e stupidotta di Miss Rossella, ma la vera diva, la grande rivincita di tutta la comunità nera è lei, Hattie Mcdaniel: l’indimenticabile Mammy a cui l’Accademy assegnerà l’Oscar come miglior attrice non protagonista nel 1940. La Mcdaniel era un’affermata cantante gospel e un’attrice radiofonica e nonostante questo, alla sua morte avvenuta nel 1952, non venne sepolta all’ Hollywood Cemetery perché la segregazione era ancora in vigore. Il malevolo (eppur meraviglioso) Kenneth Anger sostiene che avesse una relazione con la bianchissima Tallulah Bankhead…. personalmente ho sempre fatto il tifo per questo pettegolezzo; tanta scorrettezza politica ante Little Richard sarebbe sublime.
Nel 1973 Marlon Brando non si reca alla cerimonia di conferimento dell’Oscar per The Godfather e al suo posto manda un’indiana d’America, alla cui causa l’attore si era legato…. peccato che non fosse una vera Nativa Apache, ma un’attrice travestita (…!?).
Hollywood, 2010 circa. Mel Gibson viene accusato di essere un alcolizzato omofobo e razzista. Rivolge accuse antisemite a diversi poliziotti che lo pizzicano alla guida in stato d’ebrezza. La compagna lo accusa di violenza. Quel che non ti uccide ti fortifica, ma ho sempre creduto che se il vecchio Dave Griffith tornasse dal mondo dei morti farebbe una gran baracca col caro Mel… (!!)
Facciamo un salto mortale temporale, siamo a Hollywood, no? Arriviamo così agli anni novanta.
Al 1993 per l’esattezza.
in un certo senso siamo di fronte alla chiusura del cerchio. Sessantun’anni prima Roscoe “Fatty” Arbuckle venne processato per omicidio e stupro. Fatty, come dice il soprannome, era un ragazzone allegro e troppo grasso e venne accusato di aver “schiacciato col suo peso” e quindi ucciso una povera ragazza di nome Virginia Rappe: le accuse caddero con tanto di scuse formali della giuria, peccato che ormai il danno fosse irreversibile. Carriera finita.
Michael Jackson viene accusato di essere un pedofilo; verrà scagionato dopo anni di dure battaglie legali, ma purtroppo la stessa forsennata cecità inquisitoria lo aveva stritolato. Si chiude il cerchio perché Jackson teneva in camera la foto segnaletica di Fatty, come monito verso la “città dei morti viventi” che è sempre pronta a uccidere senza pietà le divinità pagane che contribuisce a costruire.
La vecchia e cara città dei lustrini, colonia cinematografica unica al mondo, costruisce e distrugge con la stessa velocità: 24 volte al secondo. Forse è davvero razzista, omofoba, misogina, superficiale e crudele. Forse.
Poco sembra importare però a tutti quelli che ogni giorno cercano fortuna tra i suoi boulevard e a quelli che, anno dopo anno, dal 1929, quando William Wellman vinceva la prima statuetta “che assomiglia tanto allo zio Oscar” col suo film Ali, seguono con passione la magica notte dell’Accademy e si chiedono se finalmente Leonardo Di Caprio vincerà quella cavolo di statuetta.
Finalmente quella cavolo di statuetta sta nella toilette di Di Caprio (credo lo facciano tutti da quando Connery disse di tenerla lì; non è cool tutto questo?). Adesso dovremmo chiederci quando la consegneranno a Tom Cruise. Secondo i bene informati la colpa per il mancato riconoscimento va cercato nella sua militanza attiva in Scientology, e chi può dirlo.
Ma a questo punto oltre alle accuse di razzismo, se fosse tutto vero, si dovrebbero aggiungere quelle di intolleranza religiosa…
Categorie: Cinema, Cinematografo
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