Il giorno in cui la Bronco bianca attraversò l’inferno di cristallo e non fece più ritorno
L’estate del 1994 ha segnato la storia della visione televisiva. Ci ha permesso, a tutte le latitudini, di guardare dentro posti in cui prima non era possibile, e soprattutto con tal dovizia di particolari. Guardare la televisione è diventato cannibalizzare lo spettacolo. Milioni di persone che si sono fermate a guardare, vogliose e smaniose di sapere se e cosa sarebbe accaduto di lì a pochi minuti. La vicenda è, ahinoi, reale. Terribilmente reale. Di quella realtà da cui non si scappa. Quello fu un appuntamento che stava quasi diventando macabramente fisso nei salotti mediatici: il giallo dell’estate in salsa barbeque. Omicidi efferati a uso e consumo della noia, commessi forse per la troppa canicola, commentati da ogni sorta di super esperto di accuse e difese immaginarie. Sto parlando della morte terribile dell’ex moglie di O.J. Simpson e di Ron Goldman. “Il processo del secolo” e tutto il cascame che ne conseguì.
Da Febbraio e Aprile, rispettivamente sui canali FX e Fox Crime, va addirittura in onda una serie televisiva, costola di American Horror Story, dal titolo emblematico The people V O.J. Simpson – American Crime Story che racconta questa tremenda vicenda. Questa (brutta) storia è tutta vera dal principio alla fine. La potremmo intitolare, prendendo in prestito il titolo del romanzo di Dreiser, una tragedia (tamarramente) americana.
Qui vi racconterò non il telefilm bensì la vicenda originale. Direte voi: ma non siete un’Officina Gastronomica? Che c’azzecca la cronaca nera e giudiziaria? I più navigati tra voi lo sanno. Il processo (e ancor prima l’ inseguimento della Bronco bianca) del signor Simpson fu il più mediaticamente coperto e seguito in America in tutta la storia della televisione. Non era un processo come gli altri. Per provare a spiegarvelo immaginate di vedere attaccati agli schermi le folle del mondiale ’82 per il processo ai compagni di merende, ma al posto di Pacciani alla sbarra metteteci Marco Tardelli e al cimitero Moana Pozzi.
Orenthal James Simpson, detto Orange Juice (O.J.), un modo colloquiale di definire una forza della natura, è stato uno tra gli sportivi più famosi e amati di sempre in America: vinse il trofeo Heismann nel 1968, da giocatore dei Buffalo Bills e dei San Francisco 49ers corse le 2000 iarde in sole 14 partite, record tutt’ora imbattuto. Non solo, nel 1974 fece anche il suo debutto al cinema in The Klansman e ne L’inferno di cristallo; ebbe un ruolo anche in Cassandra Crossing, in Capricorn One e in tutta la saga di Una pallottola spuntata. Le sue carriere, compresa la televisione e la pubblicità furono di altissimo livello, tutti lo conoscevano e lo amavano perché era bello, bravo e simpatico.
O.J. era un campione sul campo e (teoricamente) anche nella vita.
Nel 1977 circa Nicole Brown, bellissima cameriera bionda allora diciottenne, conosce il famosissimo O.J., che di anni ne aveva circa una trentina ed era ancora sposato con la prima moglie. Iniziano una torrenziale relazione, che sin dai primi giorni sfocia in violenze fisiche, tanto che per farsi perdonare, durante i primi tempi della loro relazione, lui le regala addirittura una Porsche. Lei lo giustifica: è ancora una ragazzina che ha trovato il suo principe azzurro.
Anche se qui più che di Principesse Disney dovremmo parlare di Otello e Desdemona. Con un Otello a cui non serve proprio nessuno Iago.
La vicenda che ha portato Orange Juice a fare quello che ha fatto è arcinoto. Magari però vi rinfresco la memoria a modo mio.
Come nelle migliori storie noir Nicole venne trovata morta intorno alla mezzanotte del 12 giugno 1994, sulle scale di casa sua, in un ricco condominio di Brentwood. Aveva la testa quasi staccata dal collo. Assieme a lei un amico, un normalissimo amico che le stava riportando degli occhiali lasciati al ristorante in cui il ragazzo faceva il cameriere. Aveva venticinque anni, si chiamava Ronald Goldman e venne accoltellato più di venti volte. La sua colpa era quella di essere nel famoso posto sbagliato coi tempi sbagliati: Brentwood, sobborgo di Los Angeles, nell’ora più nera di tutte.
Dissolvenza in nero, in oscurità completa.
Qui passiamo dalla brutale cronaca nera al dramma hollywoodiano più spinto. O.J. era partito per Chicago con il volo delle 23,45 del 12 e venne richiamato all’ordine nel primo pomeriggio del 13. Interrogato e subito rilasciato già dal giorno seguente si affida all’avvocato Robert Shapiro.
La notte tra il 16 e il 17 giugno (alla faccia di chi dice che il 17 non porta sfiga) venne formalmente accusato di duplice omicidio di primo grado. Da questo punto in poi, il dramma hollywoodiano diventa un film d’azione con tutti i crismi. Orange Juice si nasconde a casa dell’amico Robert Kardashan (si, lui, quello con tutte quelle figlie ed ex mogli famose solo per essere loro congiunte) minacciando di suicidarsi lì, e a quanto pare ha molta scelta in quella grande casa: prima vuole farlo in camera di Khloe (i pettegoli dicono sia figlia sua), poi in giardino, poi in giro per casa. Nel frattempo la polizia ha notificato l’arresto agli avvocati intimando di indicare il domicilio del campione; quando arrivano per prelevarlo, come nei migliori film d’azione, l’uomo è scappato dalla porta di servizio in compagnia del fedele amico ed ex compagno di squadra Al Cowlings. Così fedele da possedere una perfetta riproduzione della tamarrissima Ford Bronco. L’originale era come da copione sotto sequestro.
A questo punto si passa dalla storia alla leggenda.
Scappano dal retro e danno il via al più surreale inseguimento della storia. Ad una velocità di circa 40 miglia orarie i due fronteggiavano il traffico di punta dell’autostrada 405, con A.C., raggiunto telefonicamente dalla polizia, in volo su un elicottero sopra di loro, che li teneva informati di cosa accedeva dentro il veicolo: O.J. voleva spararsi al cimitero sulla tomba di Nicole, e puntava una pistola alla tempia dell’amico affinché non rallentasse e lo portasse a destinazione.
Il Bronco Chase, come i golosissimi media americani l’avevano ribattezzato, venne seguito da una cosa come 75 milioni di telespettatori, perché come sapete gli inseguimenti al cardiopalma, laggiù nel selvaggio nuovo mondo, sono inseriti nel palinsesto, affinché tutti possano vedere i cattivoni beccati dallo sceriffo di turno. Come se già questo non fosse abbastanza, il canale NBC interruppe l’incontro di finale di NBA tra i New York Knicks e gli Houston Rockets per trasmettere il surreale inseguimento più lento del mondo. Ad un certo punto i telespettatori iniziarono a chiamare la radio e le televisioni per entrare nel plot; indicavano dove fosse, cosa stesse facendo. Telefonavano perché stava nascendo il nuovo modo di guardare la televisione: l’entrarci dentro, come si fa con una tuta zentai, trasformandola in un giocattolo eroticizzato all’estremo. Puoi divertirti, ma senza farlo vedere a chi sta accanto. A questo punto la televisione diventa circo nero, la resurrezione della Santa Inquisizione Mediatica, esposizione totale senza interruzioni. A pagare il prezzo, quello vero, ci penseranno gli altri, non noi.
Ci volle più di un’ora, dopo aver fatto retromarcia per infilarsi nel vialetto della sua faraonica villa di Brentwood, prima che il sospetto si facesse ammanettare. Continuava il tira e molla coi poliziotti: mi sparo non mi sparo. La festa di O.J. era (temporaneamente) finita. A questo punto inizia un’altra storia, molto più oscura e terrificante; non più un film d’azione o drammatico, ma un Fantasy catastrofico senza lieto fine. Il processo a O.J. non fu un dibattimento per omicidio, ma un guerra anarchica e senza esclusione di colpi, un Maelstrom che tutto trascinava con sé nella furia distruttrice della presunta purezza o impurezza razziale. Fu la battaglia epica tra (presunto) Bene e (presunto) Male. Tra Bianchi e Neri. Tra ricchi e poveri, tra Buoni e Cattivi. Come uomo, come essere umano, il mio pensiero va soprattutto a quella povera donna e a quel povero ragazzo, morti, massacrati da una cieca furia senza nome e senza senso, morti per un no o un si di troppo. Distrutti per niente. Nicole e Ron.
Persone vere che una volta spente le luci delle telecamere non si sono rialzate più. Simpson, da bravo sportivo da libro dei record, è riuscito la dove nessun suo collega è ancora (speriamo) mai arrivato: ha messo in piedi un reality show estemporaneo ad uso e consumo dei media.
Lo sport era stato eclissato da uno sportivo. A questo punto però era già tutta un’altra cosa; perché la finale NBA era finita nel limbo della seconda serata non a causa di una minaccia di conflitto termonucleare, ma a causa di una Bronco bianca, che aveva attraversato l’inferno di cristallo per non fare più ritorno. Anzi, per ritornare milioni di volte, 75 per l’esattezza, dentro i tubi catodici di tutto il paese. Fuori dal blu, dentro il nero….
Salta ragazza, salta, finché sei in tempo….
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