Della stregoneria attraverso i secoli: compendio malefico di una storia (mai) dimenticata

 

La storia del cinema è una storia crudele. Che segna l’immaginario collettivo attraverso lo sguardo, a volte disincantato, a volte freddo, chirurgico, altre cinico ma sempre meraviglioso e senza compromessi; quando li fa sono obbligatori, senza non ci sarebbe il Cinema.
I film esistono perché ne abbiamo bisogno. Sono diventati il veicolo collettivo con cui i sogni meccanici del ‘900 hanno potuto prendere forma e vivere di una cinematica che altrimenti sarebbe andata perduta nel vuoto.
Lo schermo da oscuro presagio diventa luminescente presenza, la forma e la sostanza prendono una nuova vita che impedisce alle immagini di morire; il tempo e lo spazio, qui e ora o qui è ora.

Senza il compromesso dell’immagine in movimento i nostri sogni oggi avrebbero forme differenti e non sempre comprensibili; la fotografia aveva già dentro di se il bisogno di muoversi, perché bloccare senza poter ripartire era il suo limite, il suo peccato, la tara mortale che le impediva di andare oltre l’infinito. Mancava poco, ma non era abbastanza. Quando finalmente le immagini poterono uscire dalla loro immobilità le potenzialità del cinema furono subito evidenti a tutti.

Il cinema muto è sicuramente quel periodo che più di ogni altro fa impazzire il Capoffcina. La magia oscura, la vera lontananza che mi divide dai Divi, non più persone ma creature fatte di luce, come mai prima e poche volte dopo. Lontananze temporali e spaziali colmate dal silenzio luminoso di uno schermo al buio, quel buio di cui non hai più paura perché la luce delle immagini riflesse, che spesso non riflettono, e vampirescamente uccidono, ti tengono sveglio e sospeso nel vuoto assoluto della loro presenza paradossale e incompleta. Ecco cosa mi fa il cinema muto: mi riempie di quella meraviglia che le immagini in alta definizione mi fanno a volte smarrire. Perché sono sempre più perfette, definite, senza sbavature; al contrario di quei vecchi 16, 24, 32 fotogrammi traballanti per secondo, limitati e limitanti, ma pur sempre pieni di quel mistero che mi avvince.

Esiste un film in particolare per cui nutro un amore incondizionato, quasi fisico. Un film che non è un documentario, un film horror, una conferenza culturale, un film di finzione ma anche tutte queste cose assieme. Un film che possiede un fascino oscuro tutto suo che gli ha permesso di diventare un cult senza tempo.

Per parlarvi di questo capolavoro assoluto (a mio modesto e piccolissimo avviso) voglio “introdurvi” qualcosa che nel futuro avrà un’altra forma, un altro tempo, spazio e collocazione.

Ecco cosa è per me Haxan: il compendio malefico di una storia dimenticata tanto tempo fa ma sempre presente sotto la superficie dell’acqua scura e a volte chiara del cinema. U’opera che cerca spazio, ma che ne ha sempre avuto tantissimo…

 

 

 

“Is this a dream or is it now? Is this a vision or normality I see Before my eyes?”

( The Clayrvoiant, Iron Maiden)

La storia del cinema e quella della stregoneria, paradossalmente, hanno più cose in comune di quante in apparenza si possano vedere ad occhio nudo. La stregoneria è uno degli episodi più cruenti ed insensati della storia dell‟umanità; anche il cinema, a modo suo, ha segnato la storia. Il cinema è sicuramente uno dei mass media più importanti perché ci permette di vedere letteralmente qualcosa che non esiste nella realtà. In questa storia, i due “episodi” si uniscono tra loro. Quando la sera del 28 Dicembre 1895 i parigini videro un treno “uscire” dallo schermo, urlarono di spavento e meraviglia perché erano di fronte al un vero e proprio portento. Quella era “tecnica”. Il sabba invece è un vero e proprio “evento culturale”, se così lo vogliamo definire. Ma la “tecnica” e gli “eventi culturali” prima o poi si incontrano: ed è così che nasce il Cinematografo.

Il cinema è il luogo dove la tecnica incontra gli eventi culturali. E‟ il 1918 quando un brillante regista danese decide che è ora di “ufficializzare” questo incontro girando uno dei film più strani, affascinanti, eleganti, misteriosi e dimenticati della storia del cinema: Haxan, ovvero La stregoneria attraverso i secoli. La stregoneria è il tema portante del film, il filo rosso che collega l‟umanità dal suo esordio ai giorni nostri. Si parla ancora oggi di “caccia alle streghe”, di “possessione demoniaca”, questi sono fenomeni radicati nella vita e nel pensiero comune, sono espressioni ampiamente utilizzate ancora oggi. Un episodio significativo di questo fenomeno accadde nel 1892, a pochissimi chilometri da dove Guglielmo Marconi stava effettuando i suoi esperimenti sulla telegrafia senza fili, che nel 1895 avrebbe contribuito a cambiare radicalmente il mondo, consegnandolo al futuro. Un disastro naturale accaduto la notte di San Giovanni, che vide la morte di quattordici persone, venne imputato ad un rito fallito di stregoneria.
Mentre Marconi proiettava il destino dell’uomo nel futuro un gruppo di persone viveva radicata in un passato oscuro fatto di credenze e desideri inespressi, proibiti e possibili solo grazie alla superstizione. Eminenti studiosi diedero credito alla genuinità di tale ipotesi, e parliamo di una catastrofe naturale accaduta agli albori del 900.
Benjamin Christensen, attraverso uno studio serio e preciso ricreò sullo schermo le paure, le manie, le superstizioni che pervadono l‟umanità ancora oggi. Nei suoi intenti vi era quello di produrre una trilogia dedicata appunto alle superstizioni. Gli altri episodi si sarebbero intitolati La santa ed il terzo, Gli spiriti. Il suo scopo era quello di legittimare qualcosa che era davvero esistito, e voleva farlo attraverso il cinema, dimostrando che oltre ad essere un mezzo di intrattenimento delle masse, poteva trasformarsi in strumento di avallo scientifico. Haxan è un film ad episodi, questo non è una novità assoluta. La vera novità è nella modalità con cui Christensen ha realizzato il suo film: non è un film di finzione, ma uno dei primi tentativi di realizzare un documentario storico ricostruito. La massiccia presenza di didascalie, una ogni quattro, cinque inquadrature, legittima questa innovazione. Anche nella scelta degli attori il regista è innovativo, perché utilizza attori che sono un misto di professionisti, non professionisti e debuttanti; non sono normali interpreti, in realtà rappresentano tipi umani vissuti nelle varie epoche descritte.

Non vediamo la rappresentazione di nessun personaggio realmente vissuto, ma ogni personaggio è plausibilmente vissuto. Gli abiti, le case, gli atteggiamenti dei personaggi, mostrano una realtà scientificamente dimostrabile. Il registro documentaristico vive su questo livello. Ci sono anche alcuni altri temi ricorrenti nel film, elementi sia naturali che sociali. Uno degli elementi principali, ma che non vediamo mai è il sangue.

Il sangue di Haxan è solo raccontato; non lo vediamo, è come un personaggio misterioso, il sangue è “l’eminenza grigia” di questo film. È paradossale, perché non è un horror canonico, anche se ritroviamo molti temi classici del genere. Il sangue è l’elemento ematico versato dalle povere streghe messe sotto tortura prima, e al rogo poi, ma è anche il simbolo di una intera vicissitudine umana. Il sangue è il vitale liquido che “non mente”, apportatore di vita, veicolo dei fenomeni sacri: quel sangue che a litri verrà versato per noi e per tutti in remissione dei peccati del mondo. Il sangue diventa la base portante della caccia alle streghe, essendo il veicolo di tutti i simboli sacri e profani che convergono nell’unico grande tema, che ossessiona ed organizza la vita e la cultura di quel periodo: la Salvezza dell‟anima dalla corruzione corporale. L‟uomo è “cascame del mondo” putredine semovente” escluso dagli odorosi balsami del paradiso, dove le anime incorrotte trovano rifugio dal puzzo mortifero che contraddistingue la vita sulla terra. Gesù è il Redentore, il salvatore di anime, che altrimenti andrebbero perse, col suo sangue ripulisce e cura ogni male.

 

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Oh, dannata strega! Tu morirai tra le fiamme purificatrici!

 

Il sangue della strega deve essere versato, perché essa è per antonomasia portatrice di caos, come la morte. L’Inquisizione fu la principale sostenitrice di questa idea, e lo fu in combutta con i governi degli stati, che ad un certo punto presero il controllo dei processi, perché l’eresia non era più solo un crimine ecclesiastico, ma si trasformò in colpa reale, fisica e tangibile. Le streghe non erano solo povere vecchie sole, erano anche belle fanciulle, ricche signore, mogli di magistrati; e non erano solo donne, ma anche uomini e bambini. Le strega si era trasformata in un “fenomeno”. Era passata da un piano che possiamo definire tranquillamente teologico, ad uno prettamente penale; il crimine religioso era diventato secolare.

Il secondo elemento che spicca per la sua apparente assenza è il fuoco: lo vediamo, ad un certo punto viene messo in scena il rogo delle ree di stregoneria, ma il fuoco in Haxan vive anche su di un piano simbolico, ovvero quello del fuoco come sentimento umano, elemento collegato al peccato capitale della lussuria. Il fuoco consuma i giovani frati innamorati, brucia le streghe sul rogo, infiamma le suore indemoniate, arde sotto i calderoni diabolici durante il sabba. Il fuoco della passione consuma le azioni dei protagonisti, ne condiziona le azioni, perché la lussuria, tanto turlupinata dagli inquisitori, è comunque il crimine più costante nei processi di stregoneria. Il parossismo verso la carne, produce la paura verso una sessualità che deve rimanere nascosta alla vista, degli uomini e di Dio. Gli stessi parroci e curati dei villaggi, prima di giungere alla follia dei processi per stregoneria, seguiranno un vero e proprio formulario, completo di domande da porre ai loro fedeli colti in fallo, per censire la natura dei loro rapporti personali.

 

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Straziami le carni, ma di proibiti baci saziami!!!

 

Solitamente, questi veri e propri interrogatori venivano subiti dalle donne, perché erano loro le “colpevoli”. Il marito era una sorta di vittima/carnefice consapevole. Indulgeva in occupazioni che per esso non erano peccaminose; era la donna col suo carico di colpa a rendere peccato l’azione commessa. Anche la vita sessuale degli sposi era sottoposta ad un “rigido protocollo” che ne regolamentava persino il rapporto sessuale. Non poteva essere praticato per diletto, ma solo col fine della procreazione; non si poteva provare piacere o addirittura dimenarsi troppo. Secondo i dettami di questi formulari, ogni coppia, avrebbe compiuto con mesta rassegnazione e grande silenzio l’atto sessuale, unicamente per riprodursi. C’è da chiedersi chi controllasse se gli sposi fornicassero alla “missionaria” silenziosamente oppure si scatenassero in amplessi degni della San Fernando Valley. A volte erano quei pettegoli viziosi e invidiosi dei vicini, ma forse erano gli stessi fedeli a sputtanarsi col prete.

Appare chiaro come il fuoco della lussuria fosse temuto come il fuoco naturale, la follia di una religiosità che si era spinta nelle vite dei suoi fedeli come un controllore impassibile e crudele. Non stupisce quindi che l‟opera di Christensen sia carica di polemica, che sia una violenta requisitoria nei confronti di un periodo, che da epoca storica si è trasformato in delirio collettivo. Un altro fattore importante, che deve essere rilevato, perché comporta determinate scelte da parte dei protagonisti è sicuramente il cibo. Può sembrare un elemento di contorno, assolutamente secondario, ma in realtà il cibo riveste un ruolo importante perché determina alcune scelte. Il cibo nel medioevo era, esattamente come oggi, la base della vita, ma anche il veicolo con cui determinate scelte vengono fatte. La carità verso le povere donne, possibili colpevoli di stregoneria, avviene attraverso la somministrazione del cibo. Quello che vediamo in questo film è la dissacrazione dell‟atto di cibarsi.

 

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Maria la tessitrice: fame atavica….

 

La fame, tutta fisica, diventa fame di altro, diventa una vera e propria scusa con cui indulgere nella già citata lussuria. Maria la “tessitrice”, la piccola vecchina che racconterà il sabba, viene catturata dagli sgherri degli inquisitori mentre si ciba. L‟atto di nutrirsi viene interpretato dalle menti sconvolte delle altre donne come una deliberata forma di sacrilegio; la vecchia mette in atto una sorta di sabba casalingo, lo fa perché è una strega, e come tale è sempre colpevole di qualcosa, anche se a prima vista non si capisce bene di cosa. La strega è schiava di un senso di vuoto, che le impone di cercare oltre la religione cattolica una presunta verità, che non trova nella cultura istituzionale, ma che ritrova nel sabba. Il sabba altro non è che un bellissimo sogno di riscatto. Ci sono tutti i temi possibili: le amiche, il cibo, il divertimento, l’aggregazione sociale, la comunione d’idee. Queste povere infelici non fanno altro che raccontare i loro sogni, trasformando così le loro parole in una realtà momentanea, che vive sospesa nel momento del racconto. Questa riunione segretissima e permeata di lascivia sarà il tema centrale su cui i processi per stregoneria prenderanno vigore e forza, il sabba diventerà un “non luogo” di perdizione eterna, sarà un viaggio reale, ma anche immaginario, diventerà una follia collettiva e una visione demoniaca di un convegno anarchico, fuori dalle grazie del Signore. La strega è anche rea di “apostasia della fede”, uno dei crimini peggiori, causa ed effetto della concupiscenza carnale.

Tutto questo verrà magistralmente portato sullo schermo dal regista Benjamin Christensen che creerà un film visionario, forse troppo avanti per i tempi; avrà modo di dare sfogo alle sue personali ossessioni personali e cinematografiche. L’ossessione del regista è soprattutto concentrata verso la creazione di un‟opera unica, senza precedenti, che faccia parlare; l’ossessione degli inquisitori invece è palesemente dentro alle loro parole. Il cinema, dietro a quello schermo, ha un lato nascosto, quello che si vede se guardiamo il riflesso nel retro del telone, e che crea le immagini capovolte, che quasi perdono il loro significato intrinseco per trasformarsi in qualcosa che viene da un altro mondo, da un altro luogo, forse proprio quello da dove viene anche l’Altro, il nemico, che è parte di noi, ma allo stesso tempo vive là fuori.

Quel segmento di mercato che gli storici e gli appassionati definiscono Exploitation cinema; quel tipo di pellicola che letteralmente significa “pellicola di sfruttamento”, girata per creare un profitto attraverso immagini scioccanti,un film che utilizza ansie culturali contemporanee come stilemi di fondo. Sono film a basso costo, dall’aspetto “lacero” e “traballante”, che nel passato non venivano nemmeno presi in considerazione dalla cultura accademica, vista la natura violenta e corrotta di queste pellicole. Ancora oggi, se rileggiamo i trattati di stregoneria ci rendiamo conto che vi si trovano scritte parole di fuoco e il Malleus può forse essere considerato, paradossalmente, proprio il primo esempio di quel genere cinematografico definito Exploitation Cinema della storia. Un libro che diventa “film”, e della più violenta specie. Da Expoitation a Snuff. Senza soluzione di continuità.

Va però detto che Haxan non risponde a tutti i “requisiti necessari”per essere un film di sfruttamento; il suo autore, Benjamin Christensen impiegò quattro anni e spese molti soldi per realizzare quella che andrebbe considerata come un’opera unica, visto che nessuno né prima né dopo ha realizzato qualcosa di simile. Forse è per questo motivo che la bibliografia su di esso è molto scarsa: tranne riferimenti sparsi e pochi libri, sull’argomento non è stato “versato” molto inchiostro. È un vero e proprio “scavo archeologico stregonesco” da cui si possono dissotterrare reperti molto interessanti.

Haxan è una specie di sabba visionario dal carattere unico. Gli elementi che con forza spiccano, saltando letteralmente fuori dallo schermo, sono delle caratteristiche intrinseche alle donne del film: la santità contrapposta alla possessione, c‟è una vera e propria oscillazione tra sacro e profano, una deviazione dalla norma verso il mostruoso. Vediamo le “ossesse di Loudun”. Prima sono vere e proprie sante, hanno perduto la carnalità femminile, che ha lasciato il posto al necessario statuto di santità, quella santità che è fondamentale per vivere in convento, che le porterà ad essere le perfette spose di Cristo, pure e degne dei cieli. Al contrario invece, a causa delle loro scelte personali, saranno dannate, diventeranno impure indemoniate da mettere al rogo. Loro stesse ne sono consapevoli, lo sanno, e sembrano arrendersi ad un destino che le vuole incapaci di smarcarsi dalla presenza maschile.

Christensen mostra in ogni fotogramma del film questa debolezza, ma al tempo stesso cerca di ridare loro una dimensione di dignità umana. Lo fa attraverso il racconto, che da epico diventa intimistico; il gruppo di suore indemoniate si riduce alla storia personale della povera suor Cecilia. Il gruppo si pone sullo sfondo, e a noi viene raccontato il tumulto interiore di una sola donna. In questo modo diventa possibile entrare in intimità con essa, provare pietà verso una creatura sfortunata, consapevole delle sue debolezze, dei suoi tormenti, che non sono poi così differenti dai nostri. La storia diventa un racconto, un mezzo per consentirci di penetrare la vera natura di queste donne, di capirne l‟intima natura. Anche Maria, nella sezione precedente del film è sola di fronte al suo destino.

 

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La festa è finita, Suor Cecilia. E nessuno ne ha più voglia….

 

Gli inquisitori la torturano in ogni modo e lei cede. In apparenza vediamo una debole creatura vittima dell‟Inquisizione, ma in realtà siamo di fronte ad uno statuto di santità, che oscilla sul limbo del demoniaco. Maria è allo stesso momento santa e indemoniata. Maria è la creatura perfetta, senza difetti, ma al tempo stesso colpevole di eresia, il peggior peccato che si possa commettere. La vecchina è indemoniata, ma lo è solo nel momento in cui cede non alle presunte lusinghe di Satana, ma, almeno dal punto di vista di Christensen, quando cede alle pressioni dei suoi carnefici. La sua vera colpa è quella; la debolezza di fronte ad un meccanismo troppo più grande di lei. La sua vera colpa è aver ceduto. Maria è il simbolo perfetto di tutte quelle persone, donne e uomini, che nel medioevo cedevano alla forza bruta, perché schiacciati da un sistema che non prevedeva la loro presenza. In questo film l’Inquisizione non è solo una branca della giustizia, si trasforma in una vera e propria condizione umana, una forma di violenza suprema che nel corso del tempo cambia le sue modalità, senza però mutare la crudeltà e la ferocia. La violenza durante i secoli muta solo la sua forma, ma non cambia la sostanza di fondo. Questo film è la violenta requisitoria contro questa violenza; la prima guerra mondiale era finita quattro anni prima dell‟uscita del film, il mondo stava nuovamente cambiando forma e Christensen cercava, attraverso il suo film, di determinarne lo statuto generale. Haxan diventa un pretesto per raccontare una storia, ma anche per dimostrare che forse il cinema è come un mazzo di carte. Dimostra come sia possibile confondere le carte di quel mazzo che potremmo definire un mazzo truccato, perché il cinema è pieno di illusioni, di effetti speciali che confondono, e con Haxan questo appare ancora più vero. Il cinema e la strega si fondono perfettamente in un autodafé letterario di Kenneth Anger nella prefazione ad Hollywood Babilonia II:

Intendiamoci: [i film] a modo mio li adoro, anche se sono bugiardi perché promettono una immortalità che non mantengono […] si spiegazzano, si consumano, subiscono mutilazioni e collezionano graffi simili a rughe. I colori brillanti sbiadiscono, come accade alla pelle umana,e, come gli innamorati e gli uomini in generale, divampano e spariscono senza lasciare traccia.

Quello che vediamo in Haxan è invece un onesto e serio tentativo di dare legittimazione alla storia della stregoneria, che nel tempo è andata perdendosi, che ha assunto il carattere di leggenda, di storia banale, ma che è anche un episodio unico nella storia dell’umanità. È un film che racconta una storia che si svolge al limitare della realtà, che ad un tratto tracima nel reame del fantastico, del meraviglioso. Christensen mette in scena una visione di altri tempi, vediamo non solo un racconto vero, ma il tentativo di legittimare la presenza nella storia della donna, la sua presenza nel tessuto sociale, la sua vitalità. Vediamo donne che passano in maniera labilissima dal piano della santità a quello della dannazione, quasi senza rendersene conto. Haxan è un film dove si vede cosa succede quando la norma viene oltrepassata, quando la soglia tra realtà/fantasia e normalità/mostruosità si perde.

A questo punto possiamo trarre delle conclusioni, o almeno tentare di farlo. Se è vero che le parole sono come armi allora nessuno può obiettare la tesi di Christensen. Non è possibile farlo perché il termine “strega” è femminile. La stregoneria stessa è appannaggio della femmina, non tanto della “femmina” come creatura biologicamente diversa dal maschio, ma in virtù del suo proprio carattere, il femminile inteso come una qualità maligna, e mortale. Christensen ha compreso che il grande tormento consiste nella lotta nei confronti di una essenza profonda, di una qualità, completamente interiore, che per sua stessa natura è sovvertitrice di un presunto ordine. La donna – strega si trasforma in donna – isterica. Il termine viene dal greco hysteron, utero: l‟isteria è il “mal uterino”, quintessenza della femmina. Quindi l’unica cosa che rimaneva da fare era abbassare le armi ed affidarsi nuovamente alla Parola. La terapia della parola come prodromo della salvezza. Quella parola, che al femminile, le condanna irrimediabilmente. La strega: femmina. L‟Inquisizione: maschio. Benjamin Christensen ci fa così notare che in fondo quella che ci troviamo davanti è una vera e propria “guerra dei sessi”, per decretare un vincitore agli occhi di Dio. Christensen però ci dice anche un’altra cosa: che non esistono vincitori in questa guerra, perché è un conflitto insensato. La sua strega non è solo una strega, se guardiamo bene non ci troviamo più nella buia e fredda cella del tribunale cittadino, ma nella buia e fredda cella del convento di clausura. La strega diventa una suora, anche se le suore che ci fa vedere hanno moltissimi tratti in comune con le streghe. Sono donne che chiedono all’inquisitore di morire perché hanno peccato, perdendo nella frenesia il loro possibile statuto di santità; devono morire nel fuoco, che diventa l’alleato dell’inquisitore, ma al tempo stesso il suo peggior nemico. Perché anche questa parola, nasconde un tranello. È una parola maschile, che designa il peccato peggiore, quello che si tenta in tutti i modi di estirpare, ovvero cela la lussuria. Il fuoco (maschile), brucia la passione (femminile), e brucia anche la strega, in un disperato tentativo di riportare l’ordine nel caos. Anche la “parola” è femminile, quindi non risulta strano che sia al tempo stesso la terapia e la condanna di quella donna, che è sia Santa che Indemoniata.

In Haxan accade una cosa particolare: il finale della storia ci lascia interdetti. Nel bel mezzo dell’azione, mentre ci aspettiamo di arrivare a chissà quale parossismo, succede una cosa inaspettata. Dal seicento finiamo ai nostri giorni. Abbiamo perduto quasi tre secoli di storia. Perché? La domanda è più che lecita. Paradossalmente abbiamo anche una possibile risposta: la caccia “isterica” alle streghe finisce quasi di colpo, non certo dalla sera alla mattina, ma senza troppo clamore perde la sua forza devastante. Come tutte le vicende umane, anche questa, va a collocarsi nel limbo delle cose passate. Certamente nessuno si era dimenticato di quello che era successo, ma era come se la ragione avesse avuto la meglio sulla superstizione. Purtroppo bisogna rilevare che anche al tempo di queste cacce molte persone consideravano la stregoneria come una superstizione, ma il pensiero comune, la società, ne ricavava comunque dei benefici in termini materiali. I beni degli inquisiti venivano confiscati, si sedavano i disordini sociali, i poveri venivano allontanati o eliminati. A questo punto accade qualcosa di apparentemente innocuo, che può passare inosservato, ma che nell’economia di questa vicenda è importante: Satana, usando una metafora colorita, smette di andare al sabba e comincia a frequentare i cimiteri. Il sabba, come evento perturbativo, o per così dire, “culturale”, perde forza, non è più “l’evento trainante” delle attività legate al Maligno. La fiducia nella scienza prende piede. Appare sorprendente, se consideriamo che alla fine del cinquecento si raccontava in un documento che i resti di Gaspare Tagliacozzi, il noto chirurgo bolognese che “ricostruiva li nasi”  vennero traslate in un cimitero sconsacrato dalla loro sede originale in San Giovanni Battista a Bologna, a causa di alcune voci che “annunciavano la sua dannazione perché mago”. Adesso il problema non è la strega che uccide con i maleficia, bensì il morto al cimitero, che viene accusato di essere il portatore di morte tra i vivi. Esso ritorna dalla tomba per molestare gli amici, per ricongiungersi carnalmente con il coniuge e bere il sangue dei parenti. La strega lascia il posto al vampiro.

Senza dimenticarci che entrambi i “miti”, per così dire, hanno una presunta matrice comune: Lilith.

 

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Ed io, uomo, non giacerò sotto di te….

 

 

Essa è un demone presente nella cultura assiro babilonese, assimilata poi alla religione ebraica, dove si trasforma nella prima moglie malvagia di Adamo. Lilith entra di notte nel letto degli uomini e li “prosciuga” della forza vitale, dopo aver lasciato in volo il Paradiso scacciata dal marito, Adamo, perché si era rifiutata di “giacere sotto di lui”. Questo gesto, apparentemente legato alla sfera sessuale in realtà racchiude la vera natura di questa creatura: l’indipendenza, la libertà assoluta dal maschio padrone. Lilith esegue il più grande peccato mai commesso: si ribella allautorità precostituita.

Quindi, in un certo senso, il vampiro si afferma nel “vuoto di potere” lasciato dalla strega, la stregoneria allenta le maglie e il Maligno deve trovare un altro capro espiatorio. In questo caso però, ritornando al discorso fatto prima, siamo di fronte a un fatto paradossalmente meno cruento, perché il vampiro è maschile. Quindi non è più la donna a morire, ma viene distrutto un revenant, colui che ritorna dalla tomba e che è sempre (o quasi) uomo. Anche la strega subiva un trattamento di questo genere, ma che possiamo definire “preliminare”, perché veniva messa al rogo, si estirpava il problema alla radice, essa non poteva tornare perché il fuoco ne aveva decretato la fine: La strega e il vampiro hanno un tratto comune: sono “posseduti”. Hanno stipulato un patto con Satana; sono vittime della Melanconia che è in stretta relazione con la possessione. Se il lavoro era una possibile terapia all’acedia, pericoloso peccato che come la lussuria corrompeva le anime, e se la scrittura in epoca rinascimentale viene considerata una via di fuga dalla melanconia, allora il “patto col diavolo” durante la caccia alle streghe è la risoluzione alla patologia melanconica. Inoltre un altro tratto comune tra la strega e il vampiro è l’ormai famoso odore, o meglio, il fetore.

La strega puzza di zolfo quanto il morto che ritorna. I miasmi fanno paura perché vengono considerati erroneamente veicolo di morte, gli odori nauseabondi si associano al vampiro perché viene dagli inferi, assieme al fetore maligno, alieno alla grazia divina. Un altro tratto comune tra i due è lo sguardo. Il vampiro ammalia con gli occhi, la strega fa il malocchio. Entrambi inoltre sono creature sia repellenti che affascinanti ed entrambi sono vittime e carnefici dell’amore, negato e voluto. Quindi il problema alla fine rimane sempre quello: il “problema” dell‟amore.

L’amore che si trasforma in morte, l’amore che fa della donna una proprietà privata dell’uomo. Da sempre questo amore distruttivo confina col desiderio di morte. Qui entra inevitabilmente in gioco la “nostra” Diva, la Divina creatura che col suo corpo si fa eternità, giovinezza senza fine, bellezza suprema. La Diva che ammalia con lo sguardo, eternamente giovane, senza età: la Diva e la Santa si equivalgono; la prima è retaggio del cinema, la seconda della Chiesa Cattolica. Entrambe sono vittime e carnefici sia di loro stesse che di chi le adora. Il cinema, attraverso la Diva, diventa una religione per così dire, laica. La Chiesa, con la Santa, invece si trasforma in fenomeno di massa. La Diva, la Santa, la Strega, il Vampiro.

Come detto prima il vampiro è maschile, ma grazie alla “nostra” diva diventa la Vamp, la femme fatale, che ammalia con lo sguardo e porta alla perdizione eterna l’uomo su cui posa lo sguardo. La Vamp è il veicolo mortale della perdizione, la creatura malvagia che corrompe, diventa il mito della morte piacevole, una bella distrazione. Questa creatura diventa un vero e proprio feticcio, che ancora ai giorni nostri colpisce l’immaginazione. A modo loro anche le streghe di Haxan sono delle vamp che ammaliano, ma hanno forse più tratti comuni con la Medusa, perché con lo sguardo, col “malocchio” la strega ti uccide, ti toglie il respiro.

La bellezza si trasforma in pericolo mortale, perché la bellezza diventa desiderio che a sua volta porterà alla morte. La vamp quindi non può essere che una vampira medusea, una seduttrice mortale, un mostro. Il cinema riesce così a modificare i miti, le percezioni, la religiosità umana.

Sicuramente Haxan è “solo”, un film di cui è difficoltoso trovare una collocazione all’interno dei generi cinematografici, ma come spesso accade alle grandi opere d’ingegno dell’uomo, vive su molti livelli differenti. Potremmo trovarne molti altri oltre a quelli descritti, ma per ora questi sono più che sufficienti. La donna viene mostrata in molte delle sue declinazioni, che Benjamin Christensen ha cercato di portare letteralmente alla luce, la luce dello schermo, per ridare loro quella dignità che il tempo, la natura e la cultura hanno provato a toglierle. Ci è riuscito? Crediamo proprio di si.

Haxan vive proprio in una dimensione che potremmo definire parallela, una dimensione dove i livelli della visione e della fruizione non perdono di senso, questo film del passato oggi è salvo, perché quel futuro dove i critici del passato lo avevano collocato è finalmente giunto. Adesso Haxan è pronto; anzi, siamo noi spettatori “consapevoli” ad essere finalmente pronti per vederlo e comprenderlo fino in fondo.

Allora Haxan, dove può essere collocato? Abbiamo detto che è una conferenza culturale che “finge” di essere un documentario, è un horror che vive sospeso tra la Realtà e la Finzione; o almeno sospeso in una delle tante realtà possibili. Vive in una dimensione tutta sua. Senza paura di aver fallito allora, possiamo affermare che lo collocheremo in alto, un po’ al buio, ma dove sicuramente non dovrà dividere lo spazio e la gloria con nessuno almeno per ora, perché per fortuna, Haxan è un film unico nella storia del cinema.

 

 

 

Categorie: Cinema, Cinematografo, Documentario, Saggistica

2 commenti

  • Alexx

    Recensione esemplare,non vedo l’ora di vederlo,ti faró sapere!Molto bella la citazione degli iron maiden,molto bello tutto l’articolo e la passione che vedo in esso.

    • Capofficina

      Grazie mille!!!! Scusa il ritardo nel rispondere, ma sono super presa. Sto promuovendo il mio esordio letterario e a breve anche Haxan vedrà nuovamente la luce degli schermi, e se lo trovi e lo vedi, per favore, dimmelo! Mi farebbe un grandissimo piacere. Alla prossima!!!

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